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Arrevutamm Pride: a Napoli, il 28 Giugno, amm’ ARREVUTAT col Pride! Intervista a LaDavidessa

Sembra di vivere in un’epoca svuotata di senso e orgoglio, coperta da patine e lustrini.

Tutto ridotto a ciò che si può vendere, mostrare, monetizzare. Al mostrarsi, anziché mostrare.

Arrevutamm Pride arriva così, come una scossa.

Un gesto collettivo, radicale, viscerale ma soprattutto autentico.

Napoli, città di contraddizioni e resistenze, dà vita a un piccolo evento, un Pride Enorme.
Il Pride dal basso, senza sponsor, semplice, vero, e a tratti commovente per l’impegno che traspare da ogni gesto di cura e pensiero da parte di chi lo ha ideato.

Arrevutamm Pride è l’ascolto attivo di chi parla sottovoce.

Il Pride nasce da una sommossa. Stonewall, 1969: bottiglie lanciate contro la polizia, così Arrevutamm Pride ci ricorda che la lotta non si fa con i gadget arcobaleno, ma con i corpi, le alleanze, e le parole che, se usate bene, possono dire tutto.

Nell’intervista, LaDavidessa, voce lucida e appassionata di un movimento che non vuole essere spettacolo, ma rivoluzione continua. Ci racconta cosa significa oggi urlare “ARREVUTAMM!” e come il Pride può tornare a essere quello che era all’inizio, una rivolta.

1. Perché sentite oggi l’esigenza di un Pride dal basso? Cosa significa per voi questa definizione e quali vuoti o urgenze colma rispetto ad altri Pride più istituzionali?

Abbiamo scelto di autoconvocarci come rete dal basso per scardinare una modalità, quella del coordinamento per strutture, che reputiamo superata e controproducente, che dà spazio più a rendite di potere che alle soggettività queer. Abbiamo scelto di costruire un Pride alternativo non tanto per pretese di purezza o radicalità, quanto perché ci è sembrata la scelta più coerente nel contesto napoletano per ripoliticizzare il momento del Pride, che ricordiamo, nacque come una rivolta contro l’ordine costituito e accettato dagli stessi gruppi “omofili” conniventi. Esistono diverse alternative ma a Napoli era l’unica scelta possibile perché il dialogo con il Napoli Pride era impossibile.

Non si tratta solo di vuoti ma anche e soprattutto di mancanza di spazio. Ormai sono note anche fuori Napoli le posizioni che il Presidente di Arcigay Antinoo ha imposto al Pride ufficiale rispetto alla Palestina, anche contro parte del coordinamento e contro membri della sua stessa associazione. Il suo viaggio in Israele è stata solo la goccia di un vaso che strabordava da anni.

Non c’era spazio per la critica, non c’è spazio per contronarrazioni che vadano oltre l’identitarismo spicciolo, il “LoveIsLove” svuotato di qualsiasi significato politico. Un Pride schiavo di sponsor e patrocini quale autonomia politica può avere? Come Arrevutamm Pride abbiamo scelto di creare questo spazio politico proprio per poter avere uno sguardo frocio sul mondo che viviamo che non è fatto solo di arcobaleni, identità e diritti giuridici.

Le froce terrone napoletane hanno uno sguardo sul genocidio in Palestina, hanno una posizione sull’emergenza abitativa, sulla questione meridionale, sullo sfruttamento capitalistico, sulle lotte del Sud del mondo. Per noi si tratta della naturale conseguenza di essere un gruppo sociale storicamente perseguitato: capiamo cosa significa e oggi il bersaglio sono l3 palestinesi. Arrevutamm Pride è quindi il nostro modo di prendere parola senza dover rendere conto a nessun* padroncino.

2. Non vi basta il Pride di Arcigay? Cosa rispondete a chi vi accusa di dividere ulteriormente la comunità LGBTQIA+?

Come abbiamo ribadito, il Pride di Arcigay non ci può bastare perché è sclerotizzato da prassi politiche escludenti, da una gestione quasi privatistica e un azzeramento di qualsiasi spazio di critica. Lo abbiamo visto con ATN la quale è stata costretta a dissociarsi per aver contraddetto il Presidente Eterno sulla Palestina. Non siamo contro Arcigay a prescindere, nonostante le nostre divergenze, ma sicuramente la sua federazione locale non è aperta e nessun tipo di confronto.

Il problema è specificatamente politico e situato in questa realtà, di questo dovrebbe rendersi conto anche Arcigay Nazionale. Un direttivo-feudo composto dalle stesse identiche soggettività più simile al Politburo del Partito del Lavoro della Corea del Nord che a un’associazione democratica, quale prospettive politiche può aprire in città? Quali spazi può aprire alle giovani froce napoletane sempre più insofferenti?

Il direttivo perde pezzi e chi rimane è uno yes-man, capace di chiamare “detrattore” chiunque osi muovere delle critiche. E quando si crea una sclerotizzazione del genere, può solo prosperare un sistema di potere verticistico e fine a se stesso. Noi vogliamo invece ritrovare la nostra comunità politica. Siamo davvero noi a dividere o chi ascolta solo se stesso e chi gli dà ragione?

3. Su quali lotte scegliete di puntare i riflettori? Cosa mette in campo Arrevutamm Pride che un Pride istituzionale oggi non può o non vuole dire?

Sicuramente le urgenze su cui cerchiamo di mettere l’accento sono la questione palestinese e l’attacco multilivello alla comunità trans, ma non solo. Ci siamo esposte in queste settimane su diverse tematiche per esempio sull’emergenza abitativa di Napoli ormai fuori controllo, aderendo alla campagna RestAbitante. Noi froce siamo corpi materiali e situate geograficamente: lavoro, sanità, scuola, università, questione ecologica nel contesto meridionale e partenopeo ci riguardano non come tutt* l* altr* ma forse anche di più.

Vogliamo creare delle alleanze politiche oltre Napoli, oltre il nostro Paese e sostenere come possiamo le lotte decoloniali in atto nel mondo, come quella palestinese ma non solo. Siamo il margine del sistema-genere e vogliamo connetterci con altri margini.

4. “Arrevutamm” è un nome potente, viscerale. Da dove nasce e cosa volete evocare con questa parola?

Il nostro nome “ARREVUTAMM” che BRUCIA – come la rabbia che abbiamo in corpo, una rabbia queer, una rabbia trans, una rabbia transfemminista, che brucia il mondo e si fa motore di trasformazione. Il nostro nome, ARREVUTAMM, come Rivolta, Sollevazione, Rivoluzione, contro il sistema ciseteropatriarcale, capitalista, imperialista e machista che ci opprime e tenta ogni giorno di cancellare le nostre esistenze queer, per definizione portatrici di una carica rivoluzionaria perché non-incanalabili in questo sistema d’oppressione dominante. Arrevutamm ‘o Pride è anche un modo per affermare la nostra volontà di scardinare qualcosa che ormai ha perso se stesso e lo abbiamo fatto in napoletano per sottolineare il nostro posizionamento che non è solo geograficamente terrone, ma soprattutto politicamente.

5. Avete scelto l’autofinanziamento e il rifiuto degli sponsor: quanto è politica questa scelta?

Totalmente. E’ molto facile organizzare un Pride quando Comune e imprese ti pagano il conto: puoi organizzare più carri, una comunicazione pervasiva, assicurare tantissime cose che poi sono quelle che trasformano una manifestazione politica in qualcos’altro. Ma tutto questo ha un prezzo ovvero quello che puoi dire. Noi abbiamo scelto l’autonomia politica invece dello sfarzo.

7. Il vostro Arrevutamm Pride si colloca apertamente in una visione transfemminista, queer e anticapitalista. Che ruolo hanno oggi queste parole nei movimenti LGBTQIA+? Pensate che spaventino chi è più “moderato” o mainstream?

Non si tratta di radicalità o moderatezza, ma di prospettive politiche. Quale prospettiva politica possiamo avere in un sistema economico che prima ci monetizza con il diversity management (per fare un esempio) e alla prima occasione utile (l’elezione di un Presidente USA conservatore) ci scarica perché non più convenienti?

Il transfemminismo per noi è una prassi politica: dalla gestione della piazza oltre le dinamiche muscolari alla cura interna e alla trasparenza del processo decisionale collettivo. Dimensioni che in Pride ufficiali sclerotizzati da nicchie di potere non sono possibili. Non è tanto l’estetica del conflitto fra “mainstream” e “antagonista”, alcun* di noi hanno legami con Pride ufficiali che hanno posizionamenti simili come Bologna o Palermo, quanto la postura politica a fare la differenza.

8. Il Pride è oggi un brand?

Il Pride non ha un’unica dimensione, noi ne siamo la prova come altre esperienze che citavo prima. Diventa un brand quando abdica alla sua funzione di spazio di presa di parola e diventa rassegna commerciale di marchi, imprese e politicanti che si ricordano di noi solo alle elezioni. Il nostro obiettivo è proprio disarticolare la brandizzazione di qualcosa nato come forma di autodeterminazione.

9. Come immaginate una comunità queer che non si lasci dividere ma nemmeno addomesticare? È possibile tenere insieme radicalità e pluralità? E come?

Dalla nostra prima assemblea pubblica abbiamo messo al centro una piattaforma di valori comuni, cercando di andare oltre l’autoreferenzialità di un finto radicalismo che parla solo alla zona universitaria il tempo di una triennale o di un coordinamento che pur di tenere dentro chiunque, dal Sindaco alla Coca-Cola, perde se stesso. Dentro la nostra rete ci sono soggettività e collettività che non sono sempre andate d’accordo ma che hanno messo al centro la costruzione di uno spazio da e per la comunità cercando di delineare una sorta di programma minimo. Eppure ci sono chiari ormai i valori di base su cui è pensabile un’alleanza di corpi e saranno scritti nero su bianco nella nostra manifesta.

10. Dopo il 28 giugno, cosa resta? Avete in mente di far vivere Arrevutamm Pride anche oltre la manifestazione? Può diventare uno spazio politico permanente?

La nostra speranza è che Arrevutamm Pride diventi uno spazio politico duraturo per la costruzione di un Pride politico a Napoli. Abbiamo visto diversi tentativi nascere e morire, per questo stiamo cercando di non ripetere gli errori del passato mettendo insieme vecchie e nuove energie. È una sfida ma non vogliamo essere una meteora: ma non per dire che siamo meglio o peggio, quanto per la nostra comunità alla quale manca uno spazio realmente politico per ripensare una politica queer autonoma. Nuje ce simm.

A cura di Serena Parascandolo

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Fotografie di Giovanni Allocca

Serena Parascandolo

Serena Parascandolo, classe ’89, napulegna cresciuta tra vicoli, sottoculture di locali underground e sogni infranti. Scrivo di moda, politica e sottoculture con una penna affilata e un cuore malinconico e sorridente, come un ossimoro. Femminista, queer, terrona, mamma. Studio e imparo ancora, perché la strada è lunga e il mondo troppo complicato per accontentarsi. La mia scrittura prova a essere un atto d’amore e una piccola rivolta.
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