Primo PianoSociale

Mario Paciolla. Archiviata la morte di un testimone scomodo

Una verità che si ha fretta di riporre nel faldone, nonostante restino ombre, domande irrisolte e una famiglia determinata a chiedere giustizia.

Il caso è stato archiviato, ma la verità resta fuori dagli atti.

Il 30 giugno 2025 il Tribunale di Roma ha archiviato l’indagine sulla morte di Mario Paciolla, cooperante italiano dell’ONU trovato impiccato nella sua casa di San Vicente del Caguán, Colombia, il 15 luglio 2020: per i giudici si tratta di suicidio, fine della storia.
Nonostante ciò, sul corpo sono state riscontrate ferite incompatibili con un suicidio e la scena del crimine è stata ripulita e riordinata con cura.
La famiglia ha annunciato ricorso: “Mario non si è tolto la vita, è stato ucciso”. E ancora: “Troppi elementi escludono il suicidio, la scena è stata contaminata”.
Nel frattempo, l’inchiesta di Fanpage, presentata a maggio 2025, ha svelato testimonianze esclusive e documenti che mettono in luce falle strutturali nella versione ufficiale e confermano che il caso è più che mai aperto, nonostante l’archiviazione.

“Sento una rete di complicità che blocca tutto. Non è solo una questione tecnica, è politica.”

Chat di Mario Paciolla con un amico, maggio 2020 — fonte: Fanpage

Chi era Mario Paciolla?

Mario Paciolla era un giovane napoletano di 33 anni, laureato in Scienze Politiche, giornalista e cooperante con un profondo impegno per la pace e la giustizia sociale. Dal 2018 lavorava come volontario ONU (UNV) nella Missione di pace in Colombia, incaricato di monitorare l’attuazione degli accordi di pace tra il governo colombiano e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC). Mario non era solo un osservatore neutrale, stava preparando un rapporto riservato sul delicato processo di disarmo e reinserimento degli ex guerriglieri, un dossier scottante che avrebbe potuto rivelare dinamiche politiche e sociali sicuramente difficili e scomode da gestire.
Nei mesi precedenti alla sua morte, Mario aveva espresso crescenti preoccupazioni in lettere e chat con i colleghi e la famiglia stessa, denunciando una “rete di complicità” e “ostruzionismo” da parte di membri della missione ONU e delle autorità locali, e manifestando timori per la propria incolumità.
Mario non era un semplice tecnico o funzionario, ma una persona dotata di grande intelligenza critica e di un profondo senso di responsabilità sociale. Il suo impegno andava oltre l’osservazione passiva, cercava di dare voce agli invisibili, ai territori segnati dalla guerra, alle comunità che speravano nella pace. Le sue lettere e i suoi messaggi sono pieni di denuncia verso l’ipocrisia degli apparati e la fragilità della giustizia internazionale.
Ilaria Izzo, ex fidanzata di Mario Paciolla, ha rivelato dettagli inquietanti sulle ultime settimane di vita di Mario. In diverse telefonate, si mostrava profondamente turbato, spesso addirittura in lacrime, e le confidava spesso di temere di essere spiato, intercettato e pedinato.

Il clima di diffidenza e isolamento crescente insieme alla complessità della missione in Colombia hanno generato in lui un profondo senso di angoscia.
Ilaria ha raccontato a più testate, tra cui La Voce di New York e Fanpage, che Mario aveva perso la fiducia in alcuni colleghi della missione ONU, e si sentiva ostacolato nel portare avanti il lavoro sulla delicata questione del disarmo delle FARC. Questa perdita di fiducia e il senso di vulnerabilità erano tali da farlo sentire spesso solo e in pericolo.

“Mi diceva di non sentirsi al sicuro, che qualcuno voleva mettergli il bavaglio e che non avrebbe potuto continuare così.”

Ilaria Izzo, testimonianza raccolta da La Voce di New York, settembre 2020

Questa testimonianza umana, reale, aggiunge un tassello importante alla comprensione del contesto in cui si è consumata la tragedia di Mario Paciolla, mostrando un quadro di tensioni non solo esterne, ma anche interne alla stessa missione ONU.

La morte, le versioni e le anomalie

La versione ufficiale, accettata dalla procura italiana e colombiana, parla di suicidio. Mario Paciolla si sarebbe tolto la vita impiccandosi nella sua abitazione di San Vicente del Caguán, il 15 luglio 2020.
Una conclusione rapida e definitiva, che però presenta numerose falle.
Sono troppe le anomalie emerse: sul corpo di Mario sono state riscontrate lesioni incompatibili con la dinamica dell’impiccagione, come ecchimosi e ferite da difesa su polsi e collo, che sollevano dubbi sull’ipotesi del suicidio. Inoltre, la polizia locale non ha effettuato i rilievi accurati, fondamentali in un caso di morte sospetta, compromettendo così la scena del crimine.
Un fatto ancor più grave è che il corpo di Mario è stato lavato e rivestito prima dell’arrivo dei medici legali, un’azione che ha potenzialmente cancellato tracce e indizi fondamentali per una ricostruzione chiara della vicenda, mentre molti dei suoi effetti personali sono stati sottratti o trafugati. Di conseguenza, diventa sempre più difficile costruire una dinamica chiara e fare luce su quanto accaduto.
Queste incongruenze sono emerse soprattutto grazie all’inchiesta di Fanpage, che ha raccolto testimonianze, documenti riservati e intercettazioni, e sono state rilanciate da testate come Domani, Il Manifesto e Repubblica, che hanno seguito il caso con attenzione e spirito critico.
Nella stessa fretta di dichiarare la morte come suicidio, si procede all’archiviazione del caso.
Il 14 giugno 2024 il giudice per le indagini preliminari ha deciso di archiviare il caso sulla morte di Mario Paciolla, motivando la decisione con “assenza di elementi concreti per sostenere l’accusa di omicidio”. Una sentenza che, sulla carta, sembrava chiudere definitivamente ogni spiraglio verso una riapertura delle indagini.
Ma per i familiari e gli avvocati di Mario si tratta di una decisione frettolosa e inaccettabile. Hanno espresso il loro forte dissenso, denunciando come sia stata ignorata una mole di prove e testimonianze che avrebbero dovuto portare a un processo vero e proprio.

“Questa archiviazione è una vera e propria sentenza di morte per la verità. Le prove ci sono, ma sono state ignorate o minimizzate. Noi non ci fermeremo, la famiglia vuole giustizia e lotterà fino in fondo.”

Avvocato della famiglia Paciolla, dichiarazione rilasciata a Fanpage (giugno 2024)

Ciò che suona come un macigno pesante è il silenzio assordante dell’ONU in questa assurda vicenda.
Dietro la facciata istituzionale e le dichiarazioni di circostanza, si cela una verità scomoda che l’ONU sembra voler tenere nascosta a tutti i costi. Fonti interne e documenti riservati rivelano un sistema che ha preferito insabbiare piuttosto che fare luce. L’accelerazione nelle procedure per archiviare il caso non sembra un atto di giustizia, ma una vera e propria strategia per chiudere la bocca a chi, come Mario Paciolla, stava scoperchiando verità forse troppo pericolose e ingestibili.
Le pressioni esercitate dall’alto hanno contribuito a ostacolare l’accesso a documenti fondamentali, molti dei quali sono stati tenuti nascosti alla famiglia, privandola di strumenti essenziali per difendere la memoria di Mario e per chiedere verità e giustizia.
Anche il ruolo dell’ambasciata italiana in Colombia appare altrettanto controverso. Non si è realmente impegnata a garantire protezione e supporto a un cittadino in grave difficoltà, registrando una preoccupante assenza piuttosto che un vuoto istituzionale che ha lasciato Mario e la sua famiglia esposti a un sistema che pare più interessato a salvare facciate e interessi diplomatici che a tutelare la vita e la verità.
Questo caso sveste la fragilità di quelle istituzioni internazionali che dovrebbero essere scudi di pace e giustizia, ma che si trasformano spesso in ingranaggi di un meccanismo troppo poco chiaro, opaco, dove il potere sceglie il segreto, il silenzio e, nella peggiore delle ipotesi, la rimozione.
In fondo, la domanda resta sempre la stessa:
chi ha paura di Mario Paciolla?

“Non mi fermerò finché non avrò verità e giustizia per mio figlio.”
Questa frase, semplice e potente, è diventata il mantra di chi ha perso un figlio in circostanze oscure e che oggi porta sulle spalle un dolore immenso, trasformandolo in una forza dirompente. È la voce dei genitori di Mario Paciolla che, con la voce rotta ma ferma, continuano a lottare contro il silenzio, contro le menzogne e contro un sistema che vorrebbe far calare una pietra tombale su una verità ancora tutta da scoprire.
Non è solo una battaglia legale o politica: è un atto d’amore estremo, che la famiglia ha deciso di mettere a disposizione di tutti, per chiedere giustizia non solo per Mario, ma per tutte le vittime di un mondo che spesso lascia soli i suoi testimoni più coraggiosi.
Le lettere aperte della madre, le interviste in cui ricorda Mario con dolcezza e rabbia insieme, i presidi in piazza organizzati da amici e sostenitori, raccontano una storia di resilienza che non si spegne. Sono volti, voci e lacrime che chiedono attenzione e che scuotono le coscienze di chiunque voglia ascoltare, capire, comprendere.
In questa battaglia di cuore e lotta, la famiglia è diventata un faro, un simbolo di resistenza che invita a non dimenticare, a non lasciare che una vita spezzata venga archiviata tra i faldoni impolverati. È una lotta che si nutre di speranza e di coraggio, di un amore che si rifiuta di arrendersi, anche quando tutto sembra remare contro.
La storia di Mario Paciolla non può essere chiusa con un’archiviazione frettolosa. È una spia accesa sul silenzio e sulle omissioni che troppo spesso accompagnano vicende legate a interessi internazionali.
Come possiamo accettare che una vita spezzata venga chiusa nel dimenticatoio?
Troppe domande che non possono restare senza risposta. È fondamentale mantenere viva la memoria, seguire l’evolversi della vicenda e sostenere chi continua a lottare per verità e giustizia.
La storia di Mario ci riguarda tutti, ed è quindi da parte di tutti la responsabilità di non distogliere lo sguardo e chiedere sempre più trasparenza e impegno da parte delle istituzioni.

Rimanere indifferenti non è più un’opzione.

Serena Parascandolo

Leggi anche: Un delitto avvolto nel mistero: da chi e perché è stato ucciso Alessandro Coatti?

La Redazione

Ciao! Sono la Redazione de La Testata – Testa l’informazione. Quando non sono impegnata a correggere e pubblicare articoli mi piace giocare a freccette con gli amici.
Back to top button
Panoramica privacy

Questa Applicazione utilizza Strumenti di Tracciamento per consentire semplici interazioni e attivare funzionalità che permettono agli Utenti di accedere a determinate risorse del Servizio e semplificano la comunicazione con il Titolare del sito Web.