Il caso Orlandi: 42 anni dopo, buio e speranza

Il 22 giugno 1983 una ragazza di quindici anni è uscita per andare a lezione e non è mai più ritornata.
Segreti, silenzi e misteri avvolgono la vicenda di Emanuela Orlandi, 42 anni dopo ancora senza una risposta.
Emanuela Orlandi ha quindici anni e vive a via Sant’Egidio, all’interno del Vaticano, con i suoi genitori Ercole e Maria, tre sorelle Natalina, Federica e Maria Cristina e un fratello, Pietro. Sono passati 42 anni dalla scomparsa di Emanuela, ma la sua famiglia non conosce ancora la verità. Emanuela non ha ancora giustizia.
La scomparsa
Mercoledì 22 giugno 1983.
L’estate è appena iniziata, la scuola è finita e nella capitale si inizia a pensare come spendere il tempo libero e la spensieratezza che porta la stagione estiva. Emanuela deve recarsi a Piazza Sant’Apollinare per la consueta lezione di musica, nessuno della sua famiglia può accompagnarla e così, tra le 16 e le 16:30, esce di casa e si reca a scuola. La fine della lezione è prevista alle 18:50, ma Emanuela chiede al suo insegnante di uscire dieci minuti prima e telefona a casa, a rispondere è sua sorella Federica: Emanuela le racconta di aver ricevuto una proposta lavorativa da parte di un uomo, dovrebbe occuparsi del volantinaggio per l’azienda Avon; sua sorella le propone di parlarne prima con i loro genitori, giustamente ignara del fatto che quella sarà l’ultima volta che ascolterà la voce di sua sorella.
Dopo la telefonata, Emanuela aspetta la fine della lezione e si reca con due amiche, Raffaella Monzi e Maria Grazia Casini in Corso Rinascimento, davanti al Senato, per aspettare l’autobus 70. Si apre con le amiche parlando della proposta lavorativa e afferma di essere indecisa: non sa se tornare a casa o aspettare l’uomo per dirgli di volerne parlare prima con i suoi genitori. Alle 19:20, Monzi e Casini prendono l’autobus, ma Emanuela decide di aspettare, dato che era troppo affollato. Viene vista poi parlare alla fermata con una ragazza dai capelli ricci e scuri, probabilmente anche lei frequenta il corso di musica, ma non sarà mai identificata con precisione. Quella è stata l’ultima volta in cui Emanuela è stata vista. Da quel momento buio, silenzio assoluto ma assordante. Nessuna traccia. Emanuela doveva incontrarsi a Castel Sant’Angelo con alcuni amici e sua sorella Maria Cristina per poi tornare insieme a Casa, al Vaticano, ma Emanuela a quell’appuntamento non si presenterà mai.
La famiglia è preoccupata, iniziano le ricerche ma tutto è piatto. La denuncia viene ufficializzata il giorno dopo, il 23 giugno. Si inizia a cercare in tutti i posti in cui a ragazza è stata, ma nulla. Le telecamere del Senato quel giorno non funzionavano, le uniche testimonianze sono quelle di Bosco (agente della Polizia di Stato) e Sambuco (vigile) che confermano di aver visto parlare una ragazza che corrisponde alla descrizione di Emanuela, con un uomo di circa quarant’anni. Ma niente.
Le ipotesi
Diverse sono state le ipotesi e le piste seguite, come quella del terrorismo internazionale.
Il 5 luglio arrivò una telefonata alla sala stampa vaticana. A parlare fu un uomo con un chiaro accento anglosassone (e per questo definito dalla stampa “l’Amerikano”) che affermò di tenere in ostaggio Emanuela Orlandi, chiamando in causa anche Mehmet Ali Ağca, l’uomo che aveva sparato al Papa in Piazza San Pietro qualche anno prima; l’Amerikano chiese l’intervento di Papa Giovanni Paolo II, affinché Agca venisse liberato entro il 20 luglio. Fu quindi ipotizzato che i responsabili del rapimento di Emanuela Orlandi fossero degli esponenti dei Lupi Grigi, un’organizzazione terroristica nazionalista turca di ispirazione neofascista, a cui lo stesso Agca era affiliato; tuttavia, dopo qualche tempo, quest’ultimo si dichiarò estraneo ai fatti.
L’ipotesi della pedofilia
Nel 2002, l’inchiesta del quotidiano The Boston Globe portò alla luce lo scandalo dei preti pedofili di Boston, si pensò esserci un collegamento con il caso Orlandi in quanto alcune lettere dei rapitori sembravano essere state inviate proprio da Boston. Tuttavia, l’indagine non proseguì e la pista fu ritenuta inverosimile.
Telefonate anonime, segnalazioni, persone che affermano di non poter parlare, c’è chi si punta il dito contro a vicenda, chi dice che Emanuela è viva e chi invece è certo che sia morta. C’è chi dice di guardare meglio, di affidarsi alla religione e ai suoi misteri, di osservare bene ‘’dove guarda l’angelo’’, c’è chi parla, chi grida, ma non viene ascoltato. Da un lato parole e ancora parole, dall’altro la speranza che queste possano un giorno portare alla verità. Una storia che sembra essere infinita, un caso aperto e nuovi interrogativi ogni giorno, anche e ancora oggi, dopo 42 anni. Qualcosa di troppo grande, troppa polvere sotto al tappeto. E intanto Emanuela ancora non c’è, non c’è in presenza, la sua famiglia non può più abbracciarla, ma non c’è neanche il suo corpo, neanche un luogo in cui parlarle, piangere pensarla, onorarla. Tutto in bilico. C’è silenzio, sì, ma c’è anche la forza struggente delle grida della sua famiglia, che da quel 22 giugno 1983 non si è mai arresa, è ancora alla ricerca della verità. Vite, quelle dei familiari di Emanuela, basate sulla speranza e la tenacia, la forza, come quella di suo fratello Pietro, che non ha smesso per un solo secondo di combattere e cercare risposte e continua a farlo.
Ricordiamo Emanuela, che in un pomeriggio di inizio estate ha chiuso la porta di casa e non l’ha mai più riaperta. Un pomeriggio che ha cambiato per sempre la sua storia, quella della sua famiglia e dell’intera nazione.
Puoi trovare su Netflix la sua storia raccontata attraverso la docu-serie Vatican Girl, in cui emergono dettagli e testimonianze, anche con la presenza dei suoi familiari.
Per Emanuela Orlandi.
Marianna Russo
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