L’intelligenza non è solo umana: la rivincita di polpi, corvi e maiali

Tra piume, grugniti e tentacoli si nasconde un’intelligenza che sfida la nostra.
Mentre innalziamo la bandiera dell’intelletto come brevetto umano, una serie di animali ha riscritto le regole del gioco, con tanto di diploma in problem-solving e ingegneria comportamentale.
Per secoli abbiamo guardato gli animali con un certo distacco, come se fossero simpatiche comparse nella grande commedia dell’evoluzione umana. Chiamiamo “bestiale” ciò che ci spaventa e “animalesco” ciò che non capiamo: ci siamo incoronati padroni del pensiero razionale.
Abbiamo creduto di essere l’apice dell’evoluzione, i “nerd del creato” con tanto di brevetto dell’intelligenza. Del resto, siamo quelli che hanno inventato ChatGPT, l’all you can eat e i filtri su TikTok. Ma mentre ci congratulavamo con noi stessi, là fuori – tra abissi marini, alberi e stalle – qualcuno stava già mettendo in discussione il nostro primato neurale.
Se smettiamo di guardare il nostro egocentrico specchio evolutivo, scopriamo un mondo in cui polpi, corvi e maiali, animali tanto sottovalutati quanto geniali, sono i veri outsider dell’evoluzione cognitiva. Nel viaggio nell’universo dell’intelligenza animale, ogni tentacolo, zampa o piuma nasconde un potenziale così ampio da riuscire a metterci in dubbio.
Perché non siamo poi così unici come ci piace pensare.
Siamo cresciuti con l’idea che l’intelligenza sia un prodotto esclusivo del genere umano, come il diritto di voto o la passione per l’aperitivo. Eppure, se guardiamo più da vicino e con curiosità le altre specie, non siamo i soli a usare strumenti, risolvere problemi e avere comportamenti sociali complessi.
Sorpresa: l’intelligenza animale esiste, e non è nemmeno una copia sbiadita della nostra. È originale, funzionale e talvolta… migliore.
IL MIO AMICO POLPO
Il polpo (Octopus vulgaris) è in assoluto il mio animale preferito. Ha tre cuori, otto braccia e un cervello distribuito letteralmente in tutto il corpo: due terzi dei suoi neuroni non stanno in testa, ma nei tentacoli (quelli che aprono barattoli, risolvono puzzle e fuggono dagli acquari come Houdini in versione marina). Quindi il polpo ha un cervello centrale e otto gangli neurali, uno per ogni tentacolo, mandando in tilt le classiche categorie della neurologia. Tradotto: ogni braccio ha una sorta di “intelligenza locale” in grado di prendere decisioni autonome. È come se tu avessi mani che decidono da sole cosa fare, magari mentre tu stai pensando a cosa mangiare.
Secondo uno studio del 2021 pubblicato su Current Biology, i polpi sono in grado di pianificare azioni, manipolare oggetti e persino usare il camuffamento in modo strategico. La BBC ha documentato casi di polpi che spegnevano la luce del loro acquario spruzzandoci sopra acqua: quando si dice “ho bisogno di privacy”. Come scrive il neuroscienziato Peter Godfrey-Smith:
«Incontrare un polpo è come fare un viaggio evolutivo nel tempo, incontrando un’intelligenza completamente diversa, ma altrettanto complessa.»
Ma arriviamo al vero plot twist genetico: il polpo modifica attivamente il proprio RNA per adattarsi all’ambiente, un’abilità che, in termini evolutivi, è roba da X-Men. A differenza della maggior parte degli animali (noi inclusi), che usano mutazioni casuali del DNA per evolversi, il polpo “riscrive” in tempo reale le istruzioni per produrre le proprie proteine. È come avere un correttore automatico che aggiusta le righe del codice genetico in base al clima, all’umore o al tipo di preda.
«È come se il polpo fosse più interessato a essere flessibile oggi che a evolversi domani» dice Joshua Rosenthal, biologo marino che studia l’RNA editing nei cefalopodi.
Il polpo ci riconosce e prova qualcosa per noi: distingue i volti umani, distingue i ricercatori e, cosa più divertente, memorizza chi li tratta bene e chi no. In uno studio, un polpo spruzzava regolarmente acqua su un’assistente di laboratorio che non gli stava molto simpatica. Vendicativo? Forse. Intelligente? Sicuramente.
I CORVI: FILOSOFI PIUMATI
Se i polpi sono i “geni alieni” del mare, la famiglia dei corvidi è il reparto élite dell’intelligenza aviaria. I corvi, in particolare, sono capaci di riconoscere i volti umani, utilizzare strumenti e risolvere problemi con una logica degna di uno studente di ingegneria (senza però lamentarsi degli esami). Non indossano occhiali da intellettuale solo perché hanno il becco, ma per il resto hanno tutto: memoria episodica, uso di strumenti, capacità di pianificazione e giudizio sociale. Insomma, un curriculum LinkedIn da far invidia a molti bipedi.
Nel 2009, uno studio dell’Università di Auckland ha mostrato come i corvi della Nuova Caledonia fossero in grado di completare una serie di puzzle a più fasi per ottenere del cibo, dimostrando non solo apprendimento, ma anche pensiero prospettico.
Ma non si fermano qui: i corvi usano strumenti – come bastoncini per estrarre insetti, foglie modificate per pescare larve e, in alcuni casi, catene di strumenti, ossia strumenti per prendere altri strumenti per prendere il cibo. No, non è un rebus: è logica pura e raffinata.
In uno degli esperimenti più noti, un corvo di nome Betty ha piegato un filo di metallo per creare un uncino con cui sollevare un cesto contenente del cibo. Nessuno glielo aveva insegnato. Nessuna imitazione. Solo intelligenza spontanea.
«Il livello di pensiero astratto che mostrano i corvidi è comparabile a quello dei grandi primati» spiega la professoressa Nicky Clayton, esperta di cognizione animale all’Università di Cambridge.
I corvi riconoscono i volti umani e non dimenticano mai un torto subito. In uno studio di Marzluff e Angell, i corvi hanno memorizzato per anni i volti di ricercatori che li avevano catturati. Alcuni li seguivano minacciosamente, altri avvertivano i compagni. Questo è ciò che in psicologia si chiama giudizio morale che, nei corvi, è già presente senza il bisogno di studiare manuali di etica.
Tra i comportamenti più sorprendenti, c’è la comunicazione sociale. I corvi comunicano tra loro, segnalano pericoli e condividono risorse. E, secondo alcuni studi, adattano il proprio comportamento in base all’osservatore, un’abilità chiamata teoria della mente (tradotto in parole: “so che tu sai che io so”). Una bella batosta per chi pensava che “uccello” fosse sinonimo di “cervello piccolo”!
Alcuni ricercatori li definiscono “scimmie con le ali”. Ma forse sarebbe più corretto dire che noi siamo “corvi senza piume”?
I MAIALI: TROPPO INTELLIGENTI PER FINIRE NEL PANINO
Il maiale è forse il più tragicamente frainteso tra gli animali intelligenti. I maiali sono spesso trattati come simbolo di sporcizia e goffaggine, eppure la loro intelligenza è sorprendente. Possono imparare il significato di simboli, giocare ai videogiochi e riconoscere il proprio riflesso nello specchio, segno di autocoscienza.
Uno studio della Purdue University ha rivelato che i maiali riescono a muovere un joystick per dirigere un cursore su uno schermo e ottenere una ricompensa. Non solo ci sono riusciti, ma hanno anche dimostrato di capire la relazione causa-effetto tra movimento e risultato (il che, per capirci, è più di quanto si possa dire di certi utenti sui Instagram).
Come afferma il professor Donald Broom, esperto in benessere animale, «i maiali hanno una complessità cognitiva paragonabile a quella dei cani e dei bambini di tre anni».
I maiali riconoscono gli altri individui, formano legami affettivi, e manifestano comportamenti empatici, come il conforto verso i membri del gruppo in difficoltà. In etologia, questo si chiama emotional contagion, e non lo si osserva spesso al di fuori dei primati.
In esperimenti con labirinti e porte nascoste, i maiali hanno mostrato la capacità di anticipare le intenzioni degli altri e imparare osservando i comportamenti dei compagni. Tradotto: sono capaci di pensiero strategico. Non male per un animale che in molte lingue è ancora sinonimo di “stupido”!
INTELLIGENZA ANIMALE: UN CONCETTO IN EVOLUZIONE
Per lungo tempo, l’intelligenza è stata definita in termini umani, come l’uso del linguaggio, la costruzione di strumenti, lo sviluppo della memoria e la capacità di pianificazione. Ma se la smettessimo di guardare il mondo con occhi antropocentrici, ci accorgeremmo che molte specie eccellono in aree in cui noi siamo, francamente, dei dilettanti.
Le api, ad esempio, non solo riconoscono i volti umani meglio di certe videocamere di sorveglianza, ma sanno anche comunicare in codice tramite una danza geometrica che indica la posizione esatta del cibo. E distinguono concetti astratti come “uguale” e “diverso”.
Poi ci sono i delfini, eruditi acquatici con una vita sociale degna di un romanzo di formazione: ognuno ha un “nome” (un fischio personale), riconosce sé stesso allo specchio, usa strumenti e comprende persino la sintassi rudimentale. Sono capaci di empatia, gioco complesso e comportamenti culturalmente trasmessi. Praticamente parlano tra loro e hanno anche le loro “mode”.
Le formiche, dal canto loro, sono maestre nell’arte dell’organizzazione: costruiscono città sotterranee con ventilazione naturale, ottimizzano tragitti, collaborano in massa senza un leader centrale. Sono la versione miniaturizzata (e meglio funzionante) del nostro traffico cittadino.
E vogliamo parlare dei comunissimi pesci pulitori? Piccoli e sottovalutati, vivono di relazioni pubbliche: instaurano alleanze con “clienti abituali”, sanno quando essere gentili e quando fingere di esserlo (truffandoli solo se nessuno li guarda), e se fanno un torto… riparano con coccole. In pratica, fanno customer care meglio di molte multinazionali.
Il problema non è se e come sia l’intelligenza animale, è che noi continuiamo a misurarla con il nostro righello.
L’intelligenza non ha un solo volto, e di certo non ha solo due gambe. Cambia forma, specie, habitat, e non si lascia facilmente catalogare. Non serve parlare latino, risolvere integrali o scrivere sui social per essere intelligenti: talvolta basta riconoscere sé stessi allo specchio, creare un uncino con un filo o danzare in cerchio per avvisare il gruppo di un pericolo.
E se tutto questo ci sorprende, forse è solo perché abbiamo passato troppo tempo a guardarci allo specchio, e troppo poco a osservare il mondo che ci ospita.
Riconoscere l’intelligenza animale non è solo un vezzo da documentarista. Ha implicazioni etiche profonde: nel trattamento che riserviamo agli animali da allevamento, nei test di laboratorio, nei circhi, nei mari e sulle nostre tavole. Se il tuo cane capisce quando sei triste, il maiale nella stalla probabilmente capisce che sta per morire.
Forse è il momento di rivedere le nostre definizioni. Forse l’intelligenza non è una gara con un podio, ma un’orchestra di talenti differenti. E forse, solo forse, dovremmo smettere di considerare l’essere umano come il direttore d’orchestra.
La rivincita di polpi, corvi e maiali non è un attacco alla superiorità umana. È un invito all’umiltà. L’intelligenza animale è reale, complessa, e ancora troppo sottovalutata. E se esiste un’intelligenza suprema, forse è quella che ci porta a riconoscere l’altro – che abbia zampe, ali o tentacoli.
Elisabetta Carbone
Leggi anche: I cani nell’arte. L’incredibile viaggio di Fido da Goya a Jeff Koons