Doppia discriminazione: il disagio delle donne afrodiscendenti

La schiavitù è la condizione secondo la quale un essere umano viene sfruttato per lavoro o per il proprio corpo, senza compenso e sotto minaccia.
Lo schiavo non gode di diritti e può essere venduto o comprato in base alle decisioni del padrone.
Beh, questo è noto a tutti, come il fatto che, per fortuna, questa condizione è stata superata da un po’ nei paesi cosiddetti “civilizzati”, per esempio il nostro.
Una delle forme di schiavitù più importanti e conosciute nella storia è stata quella legata alla tratta degli africani portati in America tra il XVI e il XIX secolo, per lavorare all’interno delle piantagioni del continente.
Ma alcuni schiavi lo erano più di altri e subirono una doppia discriminazione anche con l’abolizione della schiavitù.
Sto parlando delle donne.
Come ci insegnano i libri di scuola, dalla scoperta dell’America sono iniziati i soprusi ai danni di altre etnie. Partendo dai popoli nativi fino agli africani, gli europei hanno deciso di schiavizzare queste popolazioni perché considerate inferiori.
Poiché gli indigeni del posto non erano abbastanza forti da sottostare alle dure regole delle piantagioni, si optò per sostituirli con i popoli dell’Africa.
Così, gli schiavi venivano deportati dai paesi africani occidentali fino all’America.
Questa “soluzione” durò tantissimi anni e furono circa 12 milioni gli africani che compirono questo viaggio forzato.
Finalmente, e nel XVIII secolo, diversi movimenti rivoluzionari iniziarono a sorgere nel paese. A guidarli furono attivisti che si mossero per la libertà degli schiavi e, nel 1807, si abolì il commercio schiavista.
Sebbene questo sia stato un grande traguardo, esisteva una gran parte di schiavi che subì una doppia discriminazione.
Le donne africane erano sottoposte a dure ore di lavoro nelle piantagioni e a continue violenze sessuali. Costrette a diventare balie o domestiche, lo sfruttamento che subirono era nettamente superiore a quello degli uomini, e non è tutto.
Dopo l’abolizione della schiavitù, le donne afrodiscendenti continuarono ad essere discriminate anche dagli uomini della propria etnia.
Erano costrette, infatti, a lottare contro razzismo e violenza di genere, non considerate neanche dai movimenti femministi nascenti.
Kimberlé Crenshaw, attivista degli anni ‘80, sviluppò la teoria dell’intersezionalità, ovvero le diverse identità sociali che possono sovrapporsi e generare discriminazione, proprio come la condizione delle donne afrodiscendenti che subivano emarginazioni multiple: per il colore della pelle, il ceto sociale, la disabilità o l’identità sessuale.
Fortunatamente, negli ultimi anni, la voce delle donne si fa sentire sempre più, concentrandosi sulla parità di genere e andando contro le discriminazioni razziali.
Molto spesso, non ci rendiamo conto di essere realmente nati nella parte “giusta” del mondo, senza comprendere che un’enorme fetta della popolazione femminile vive questo disagio e lotta ogni giorno per farlo sentire.
Martina Maiorano
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Immagine generata da AI