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The Funkin’ Machine: Napoletanite. Il funk di Napoli che conquista Chicago

C’è un momento preciso nella storia dei The Funkin’ Machine in cui Napoli smette di essere uno sfondo e diventa contagiosa. La diagnosi è una sola: Napoletanite.

Ne abbiamo parlato direttamente con Andres Balbucea, frontman della band, durante una lunga chiacchierata in cui ci ha raccontato il dietro le quinte e l’essenza del disco uscito il 5 dicembre 2025.

Napoletanite è pubblicato in vinile dall’etichetta americana Star Creature Universal Vibration di Tim Zawada e distribuito a livello internazionale da Groove Distribution, entrambe con base a Chicago, capitale della musica dance e house. Il disco, disponibile sia in versione fisica sia digitale su tutte le piattaforme, cattura Napoli dal vivo e la trasporta fuori, senza filtri. 

L’aggancio internazionale ha un sapore quasi cinematografico: un caro amico tedesco, Boris, innamorato della scena partenopea, suggerisce alla band di inviare i brani all’etichetta americana. Star Creature ascolta, apprezza e firma immediatamente. «È nato tutto per caso, come succedono le cose più belle: qualcuno sente un nostro pezzo, se ne innamora e ci propone un vinile», racconta Balbucea. 

La band e la discografia: da Allerta Meteo a Napoletanite

Con Allerta Meteo (2021) i The Funkin’ Machine fotografano il vento contrario che attraversa Napoli. A quattro anni di distanza, tornano con un disco che sembra un passo avanti e uno indietro allo stesso tempo: avanti nella scrittura, indietro nelle viscere. Anticipato dal singolo Tengo Paura d’’a Morte, Napoletanite nasce come una febbre che non passa, una consapevolezza: Napoli non la puoi guarire, la puoi solo attraversare.

«Per noi Napoletanite è una condizione fisica e sentimentale», racconta Andres. «È quando non puoi fare altro che guardare questa città negli occhi. Anche quando ti fa male».

Il progetto ha un’anima spontanea, poco programmata, come tutto ciò che riesce davvero a raccontare Napoli senza mitizzarla né svenderla. Dietro c’è una band che della città porta luce e ombra, gloria e fatica, qualità e passione: Andres Balbucea (voce e tastiere), Alessio Pignorio (chitarra), Vincenzo Lamagna (basso), Andrea De Fazio (batteria) e Paolo Bianconcini (percussioni). Una creatura funk-soul-disco che reimmagina gli anni ’70 e ’80 con un occhio al presente, rifiutando ogni “musica di plastica” fatta di sequenze e automatismi.

L’anima antropologica del disco prende spunto dal cinema: l’idea nasce rivedendo FF.SS. “Cioè, che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?”, film cult di Renzo Arbore (1983), in cui Pietra Montecorvino sviene davanti a tutto ciò che è napoletano: il babà, la pizza, i simboli ridondanti di un’identità spesso esasperata. Ecco, quell’eccesso soffocante e irresistibile diventa la lente del progetto: raccontare la città per ciò che è davvero, non per come viene venduta.

Se Allerta Meteo esplora temi di critica sociale — dalla gentrificazione alla turistificazione fino alle contraddizioni della politica cittadina — Napoletanite amplia la prospettiva, diventando un racconto antropologico su cosa significhi essere napoletani oggi. Pregi, difetti, contraddizioni: il disco osserva la città dal punto di vista di chi la vive con meno opportunità ma con un talento naturale. Un vero sistema immunitario culturale. 

Iconografie reali: le foto del disco 

La copertina di Napoletanite non cerca la cartolina: nasce per essere vera. A raccontare visivamente l’universo del disco non è una posa studiata, ma un fotogramma metropolitano, un tempo sincopato di vita reale. La band attraversa le strisce pedonali “in punta di Beatles” davanti al Palazzo Kimbo, nel cuore della stazione centrale: uno dei varchi più vivi di Piazza Garibaldi, attraversato ogni giorno da migliaia di persone. Non è uno sfondo: è una soglia urbana in cui Napoli si manifesta, diretta, senza chiedere il permesso.

Dietro l’obiettivo c’è Robbie McIntosh, autore che da anni cattura la città lontana da cliché patinati. Le sue fotografie — presenti anche nel circuito internazionale di YellowKorner — sono radicate nella materia viva della città: la carnalità, il suo rumore, le sue ombre. McIntosh non rincorre l’estetica da cartolina, ma quella della presenza: le sigarette consumate in fretta, la corsa dei motorini, i corpi che si incastrano nelle architetture, il tempo che pesa e scorre addosso alle persone.

In tal senso, la napoletanità non è un mood da replicare, ma un’energia che entra nell’inquadratura e la abita. La forza della copertina sta tutta qui: racconta ciò che racconta anche il disco. Una Napoli non tradotta, non edulcorata, non progettata per piacere. Una Napoli che esiste e che, nelle mani di McIntosh, trova il suo specchio più autentico.

Dentro i brani: dove pulsa il disco

In Napoletanite la città non è mai un panorama: è qualcosa che si muove dentro, che affiora nei gesti, nelle paure, negli slanci e nelle mancanze. Ogni brano diventa un pezzo di vita: la morte che sfiora e poi arretra, la gramigna che cresce dove non dovrebbe, l’assenza che corrode, la festa che salva. È una narrazione fatta di rituali quotidiani e sentimenti collettivi, dove la voce si intreccia ai pensieri della città e li trasforma in ritmo.

  • O Tiempo ’e Ce Spassà – Cuore emotivo del disco. Rapporti leggeri, instabili, sempre sul punto di scomparire. Napoli diventa metafora: tutto può vacillare, tutto può cambiare, eppure si resta ancorati a un’idea di eternità.
  • Grammegna – L’erbaccia che ricresce anche dopo il fuoco. Perfetta per raccontare ciò che a Napoli non si riesce a estirpare: le storture, le ferite, ma anche una resilienza che sopravvive a tutto.
  • Tengo Paura d’’a Morte – La morte a Napoli non è tabù: è teatro, poesia, filosofia popolare. La band porta il gesto antico nel funk: la paura si scioglie nel ritmo, diventa movimento.
  • Na Statua d’Oro – Espressione popolare legata al culto calcistico: diventa simbolo di riscatto istantaneo, gloria effimera, celebrazione totale.

Il brano strumentale Chiki Chicancan completa un mosaico coerente: suoni umani, imperfetti, graffiati. Napoletanite non racconta Napoli: la attraversa.

Funk, lingua e identità: una scelta politica

Per i The Funkin’ Machine intrecciare funk, musica nera e lingua napoletana non è estetica né omaggio nostalgico: è presa di posizione. Andres, parlando a nome della band, spiega: «Rifiutiamo la musica di plastica». Niente sequenze, niente perfezione chirurgica, niente quantizzazioni: Napoletanite è un disco vivo, caldo, imperfetto. Suono “respirato”, più vicino al corpo che alle macchine.

Allo stesso tempo, oggi quella tradizione portata avanti dalla band rischia di essere svuotata del suo senso originale, dice Andres. Non solo da chi Napoli la osserva da fuori, trasformandola in immaginario prêt-à-porter, ma anche da chi, per anni, ha rinnegato le proprie radici e ora risale sull’onda identitaria locale perché conviene. «In una società liquida è facile sembrare napoletani senza toccare davvero la complessità della città», aggiunge. Il disco sceglie il contrario: non un’estetica da indossare, ma un linguaggio vissuto. Una napoletanità che non posa, non si traveste, non si vende. Una napoletanità che suona. 

Neapolitan Power: esiste ancora?

C’è una domanda che aleggia ogni volta che si parla di musica napoletana contemporanea: dopo la scomparsa di Mario Musella, Pino Daniele e James Senese, esiste ancora un Neapolitan Power? Non si tratta solo di un genere musicale, ma di un vero e proprio modo di stare al mondo.

In una città che riconquista una centralità culturale, viene naturale chiedersi chi stia oggi portando avanti quella fiaccola — e se progetti come The Funkin’ Machine possano essere parte di questa nuova corrente.

Alla domanda più insidiosa — quella che a Napoli tutti fanno, ma che pochi vogliono sentirsi rivolgere — Andres balbetta un sorriso amaro: «No, non esiste più».

Non perché manchino musicisti validi: «La qualità individuale c’è, ed è altissima. Il problema è la qualità di visione collettiva, quella che un tempo definiva il Neapolitan Power».

Quel movimento non era solo musica: era un fronte compatto, un movimento generazionale di artisti che trascinavano, non seguivano. Oggi, racconta Andres, succede l’opposto: «Tutti inseguono ciò che funziona, quello che l’algoritmo richiede. Prevale l’omologazione: il suono che vende, l’identità che si compra, il napoletano trasformato in trend. Tutto si appiattisce».

«Pino Daniele cantava in napoletano quando tutti volevano cantare in inglese. Era controcorrente, contro l’algoritmo», ricorda. Ed è proprio quella scorrettezza creativa, quella capacità di scegliere lingua, suono e città non perché conviene, ma perché non si può fare altrimenti, che oggi manca.

Un nuovo Neapolitan Power potrà nascere solo da chi ha il coraggio di tornare a osare, a vivere Napoli senza concessioni, a trasformare la propria musica in un atto di ribellione e identità.

Curiosità: note e affinità

Chi sono i musicisti con cui i Funkin’ Machine sognano di suonare? Durante l’intervista, Andres risponde senza esitazioni: tra i vivi, Clementino, per energia, rispetto e affinità; tra i miti, James Senese, icona imprescindibile per chi vuole capire cosa significhi fondere Napoli e musica in modo autentico. Senese non è solo un riferimento stilistico — e sì, condivide anche la stessa chioma — ma un modello di approccio alla musica che mette al centro ritmo, città e vita reale. Evocando il dialogo cult di No, grazie, il caffè mi rende nervoso — «Ma a te te piace ’a musica o ’o fumm?» — Andres sorride: «La musica, perché è quella che c’è sempre stata e non ci lascia mai. Ti accompagna e ti sostiene anche nei momenti più difficili».

È con questa energia che nasce Napoletanite, manifesto sonoro dei The Funkin’ Machine. Un disco che fa vibrare Napoli tra groove, improvvisazione e radici autentiche, senza rincorrere mode né estetiche preconfezionate, ma vivendo la città in ogni nota, guardando al passato senza nostalgie e al presente senza compromessi. 

E ora la musica prende forma dal vivo. Le prime date da segnare:

  • 12 dicembre – Roma, Alcazar (concerto)
  • 14 dicembre – Napoli, Foqus (concerto)
  • 16 dicembre – Napoli, Fonoteca (showcase)
  • 17 dicembre – Napoli, Kagoshima Records (showcase)
  • 19 dicembre – Napoli, Rootz Cafè & Records Shop (showcase)

Roberta Aurelio

Foto: Robbie McIntosh

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Roberta Aurelio

Roberta Aurelio – Comunica, scrive e respira cultura. Giornalista pubblicista (in progress), appassionata di storie fuori fuoco, concerti sudati e manifesti sbiaditi. Colleziona vinili, parole e istanti analogici. Ama i dettagli e la luce giusta. Rifiuta ingiustizie e condanna i soprusi. Quando scrive, intreccia pensiero critico e sensibilità poetica. Vive a Napoli, con lo sguardo altrove.
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