Primo PianoSociale

Rilanciare la battaglia sul fine vita

La discussione sul fine vita in Italia è tornata a imporsi come una delle questioni civili più urgenti e irrisolte del nostro tempo, non solo per la sua dimensione etica ma anche per il suo impatto concreto sulla vita di migliaia di persone che ogni giorno si trovano a confrontarsi con sofferenze insopportabili, malattie irreversibili e un quadro normativo incapace di riconoscere pienamente la loro autodeterminazione.

Rilanciare la battaglia sul fine vita significa innanzitutto prendere atto che la legislazione attuale, pur avendo compiuto alcuni passi avanti con la legge sul biotestamento del 2017, resta insufficiente perché non offre una risposta chiara ed esigibile a chi, lucidamente e responsabilmente, chiede di poter porre termine alla propria esistenza quando le condizioni sanitarie non permettono più una vita dignitosa.

La sentenza della Corte costituzionale del 2019, che ha aperto la strada all’assistenza al suicidio in casi specifici, ha rappresentato un punto di svolta ma ha lasciato un vuoto normativo che ancora oggi genera incertezza, disparità territoriali e un ricorso eccessivo alla magistratura per situazioni che dovrebbero essere regolate dalla legge e affrontate all’interno di un percorso medico chiaro, trasparente e uniforme. In questo scenario, le persone più fragili si trovano spesso costrette a percorsi lunghi, dolorosi e umilianti, costrette a dimostrare ripetutamente di essere nella condizione prevista dalla Consulta, mentre molte altre scelgono di rivolgersi all’estero per ottenere ciò che in Italia non è ancora consentito, trasformando una decisione personale e profonda in un viaggio della disperazione che coinvolge famiglie già emotivamente provate.

Rilanciare la battaglia per il fine vita significa anche riconoscere che l’obiezione di coscienza, pur legittima, non può trasformarsi in un ostacolo strutturale al diritto individuale, né giustificare l’assenza di protocolli accompagnati da adeguata formazione del personale sanitario; allo stesso modo, non può essere un alibi politico la difficoltà di trovare un equilibrio tra sensibilità diverse, perché il ruolo delle istituzioni è proprio quello di costruire soluzioni giuridiche che tengano insieme la tutela della vita e il rispetto della libertà personale.

È necessario superare l’uso ideologico del tema, che spesso riduce il dibattito a una contrapposizione fra “pro vita” e “pro morte”, quando in realtà il cuore della questione è la possibilità di scegliere come affrontare l’ultimo tratto della propria esistenza, evitando accanimenti terapeutici e sofferenze inutili, restituendo alla persona la titolarità del proprio destino corporeo e spirituale. In un Paese che rivendica la centralità della dignità umana, diventa contraddittorio negare questo principio proprio nel momento più delicato, quello della fine, quando la medicina non può più guarire ma può solo accompagnare e quando la volontà individuale dovrebbe avere un peso decisivo. Rilanciare la battaglia per il fine vita significa inoltre prendere atto del cambiamento culturale già in corso nella società italiana, dove la maggioranza dei cittadini si dichiara favorevole a una regolamentazione chiara e rispettosa della libertà di scelta, e dove sempre più voci — dai medici ai giuristi, dai filosofi ai familiari di persone che hanno vissuto malattie terminali — chiedono un’assunzione di responsabilità da parte del legislatore.

L’inerzia politica non solo allontana l’Italia dagli standard europei, ma alimenta una zona grigia che pesa sui medici, costretti a muoversi in un campo eticamente complesso senza linee guida precise, e sulle famiglie, lasciate sole ad affrontare decisioni strazianti. Per questo rilanciare questa battaglia significa rivendicare una legge chiara, applicabile e rispettosa del dettato costituzionale, capace di tutelare contemporaneamente la vita, la dignità e la libertà, e significa anche pretendere che il Parlamento finalmente ascolti il paese reale, colmi i vuoti normativi e restituisca certezza là dove oggi dominano confusione e paura.

È un’azione che riguarda tutti, perché tutti siamo finiti, tutti potremmo trovarci a un bivio in cui la medicina non è più sufficiente e la nostra volontà rischia di essere ignorata; rilanciare la battaglia per il fine vita, in definitiva, è un atto di civiltà che non anticipa la morte ma restituisce alla vita il suo significato più profondo: la possibilità di scegliere.

Tommaso Alessandro De Filippo

Leggi Anche : Almodovar, Leone d’oro a Venezia col film sull’eutanasia. “Dobbiamo esser liberi di morire”

Tommaso Alessandro De Filippo

Napoletano, classe 2000, laurea in Scienze della Comunicazione. 25 anni, decisamente pochi per conoscere il mondo ma abbastanza per sognare di capirlo, viverlo e, nel frattempo, provare a studiarne ogni dinamica. Ritengo non si possa focalizzare lo sguardo solo sui confini interni al proprio Paese ma sia fondamentale guardare anche e soprattutto all’estero ed a tutto il resto del pianeta che circonda, condiziona ed influenza le nostre vite quotidiane. È da questo pensiero che si è strutturata la mia passione per la politica estera, che su La Testata provo ad intersecare con la scrittura delle storie, presenti e passate, della mia città o di questa società malsana che abitiamo e dobbiamo tutti provare a cambiare in meglio. Leggetemi, se volete. Mi aiuterà a sentirmi apprezzato e validato. Criticatemi, se potete. Mi aiuterà a migliorare, per me stesso e la collettività.
Pulsante per tornare all'inizio
Panoramica privacy

Questa Applicazione utilizza Strumenti di Tracciamento per consentire semplici interazioni e attivare funzionalità che permettono agli Utenti di accedere a determinate risorse del Servizio e semplificano la comunicazione con il Titolare del sito Web.