Facciamoci un regalo, de-costruiamo un po’ di narcisismo

Perché il narcisismo non è un mostro lontano, ma un gioco di ferite e specchi che vive fuori e dentro di noi.
Sì, proprio lui, questo conosciuto.
Una parola che ormai usiamo dappertutto, infilata nelle conversazioni, nei post, nelle discussioni da bar come nelle diagnosi fai-da-te. A furia di nominarlo, anche il narcisismo si è un po’ svuotato.
E allora ripartiamo dall’inizio, da una domanda semplice: Che cos’è, davvero, questo narcisismo che ci portiamo addosso? Non serve andare a scomodare il sociolinguismo o le derivazioni latine, risulterebbe narcisista perfino quest’articolo. Possiamo ridurlo a una frase semplice: “eccessivo amore per sé stessi” – che detta così non sembra neanche una cosa negativa. Volersi bene è necessario, fondamentale.
Il problema arriva quando quell’amore diventa rigido, invadente, quasi ingombrante.
Quando, per brillare — anche senza volerlo — rischiamo di spegnere qualcun altro.
È in quel momento che il narcisismo smette di essere una definizione e diventa un comportamento che stiamo imparando sempre più a riconoscere quando ci ferisce, ma molto meno quando ci sfiora, ci attraversa e finisce per albergare in noi.
Il primo esercizio necessario è ammetterlo. Il narcisismo non è solo “degli altri”, a volte è anche nostro e proprio per questo serve guardarlo da vicino.
Da piccoli lo riconoscevamo al volo.
Avevamo tutti quell’amica di classe che, per far ridere gli altri, metteva noi in ombra. Quella che diventava popolare a spese nostre, la stronza per intenderci.
Ecco, quel narcisismo lì cresce. Si laurea, trova lavoro, si infiltra nei collettivi, nei gruppi che si dicono “safe”, negli ambienti che si raccontano empatici e accoglienti. Finché la riconosci, tutto funziona, il problema nasce quando cambia linguaggio. Quando diventa sensibile, premurosa, riflessiva. Quando ti dice: «Io non sono narcisista, l’ho superato da anni» è proprio lì che, abbassando le difese, le fai spazio e diciamocelo, è lì che fa più male.
Il primo segnale è quasi sempre la grandiosità. Non servono grandi scene o gesti eclatanti, basta l’intonazione giusta. “Senza di me non ce l’avresti fatta” – “Questa cosa l’hai imparata grazie a me” – “Dove vai senza di me tu?” Frasi minuscole ma pesantissime, soprattutto quando arrivano da chi parla di cura, empatia, sorellanza, solidarietà.
Il narcisismo fa male sempre, ma detto e agito da chi sostiene di averlo sconfitto o di starci lavorando ogni giorno è ancora più difficile da vedere perché si traveste da sostegno e fidandosi lo si lascia entrare.
Poi c’è l’ammirazione, la benzina del narcisista. Vive di applausi, di menzioni, di chiamate, di celebrazioni continue. Ogni “solo tu ci riesci” – “se non ci fossi tu” – “tu sai fare tutto”, è ossigeno puro. Quando questa ammirazione non arriva, scatta il contraccolpo: l’invalidazione.
Il messaggio implicito è sempre lo stesso: se non mi riconosci, allora non vali o non capisci. E così ti ritrovi a sentirti in colpa per non aver applaudito abbastanza, per non aver ringraziato a sufficienza, per non avergli fatto sentire quanto ammirassi tutte le sue gesta eroiche.
Il narcisista non è empatico, ma sa imitarlo alla perfezione. La sua è un’empatia performata. Ascolta per potersi specchiare, consola per sentirsi necessario e si avvicina per raccontare la tua storia come se fosse la sua.
Ti accoglie, certo, ma non per te, lo fa per dimostrare qualcosa a sé stesso è qui che diventa davvero pericoloso, quando usa la tua identità per nutrire la sua.
Non parla di te, parla di sé attraverso te.
Arroganza e presunzione sono la cornice dorata del narcisismo, il modo con cui un ego pompato e al tempo stesso fragilissimo tende a proteggersi. La grandiosità chiede ammirazione, l’ammirazione alimenta l’arroganza e l’arroganza richiama nuova grandiosità. È un cerchio chiuso, una spirale che si auto-rinforza.
E adesso arriva la parte scomoda, quella che tocca il noi.
Perché non esiste un “noi buoni” contro “loro narcisisti”. Siamo tutti narcisisti, chi più, chi meno.
Sfido chiunque a non essersi ritrovato in almeno una delle caratteristiche raccontate sopra, di non essere inciampati qualche volta e non occorre flagellarsi per questo.
Il narcisismo è un tratto umano, una contraddizione interna, costruita da secoli di cultura, famiglia, scuola, gerarchie sociali, colonialismi simbolici, modelli identitari che abbiamo interiorizzato senza accorgercene e che ci chiedono sempre brillantezza, efficienza, perfezione, paradossalmente anche quando dobbiamo affrontare un altro narcisista.
E allora, visto che siamo quasi a Natale, possiamo permetterci una cosa semplice, un regalo: guardare questo tratto senza paura, senza giudizio e senza vergogna.
Come si fa, dunque, a togliersene un po’ di dosso?
Non è un esercizio da solə. Richiede strumenti, aiuto e professionalità.
Possiamo cominciare da un gesto minimo, quasi invisibile: la lentezza.
Smettere di reagire subito, smettere di correre per performare, lasciare che le parole passino attraverso la nostra storia prima di uscire dalla nostra bocca.
A questo si affianca la capacità di osservarsi. Chiederci: questa reazione è mia, o è un riflesso? Questa urgenza è reale, o è bisogno di essere visti?
E poi la pluralità, forse il passo più difficile: non tutti hanno la nostra vita, le nostre ferite, i nostri tempi. Accettarlo è il primo vero gesto di decostruzione.
Questa non è una guida, né pretende di esserlo. Sarebbe stato narcisista davvero pensare di poter confezionare istruzioni per un processo così intimo.
Questo testo è solo un tentativo di fare informazione, di mettere in circolo un pensiero che parli al noi più che all’io e forse non è un caso che arrivi a Natale, un periodo che per molti diventa la culla del narcisismo tossico: tutto perfetto come le versioni perfette di sé da esibire come un biglietto da visita. Proviamo allora a fare il contrario.
Guardarci con sincerità, senza sovrastrutture, senza specchi che ci deformano. Non c’è bisogno di riempirsi di manuali e teorie per correggere chissà quali difetti dell’anima, a volte basta ricominciare dal noi. Un noi vero, non performato, che basta e avanza.
Decostruire il narcisismo non significa scomparire o diventare umili a tutti i costi. Significa tornare presenti a noi stessi, senza il bisogno compulsivo di cercare conferme fuori e questo — più dei regali, delle luci, delle feste — è il dono che possiamo farci davvero, smettere di salire su quel piedistallo che spesso nemmeno ci accorgiamo di aver costruito.
Serena Parascandolo
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