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Nino: 18 giorni di Toni D’Angelo. Papà Nino D’Angelo al cinema, tra arte e vita, dal 20 novembre 2025

Nino D’Angelo è l’icona assoluta della canzone napoletana contemporanea, l’indimenticabile caschetto d’oro – ora canuto – che ha accompagnato una carriera di successi nazionali, internazionali, globali.

Forse, come David Beckham, anche Nino D’Angelo è sconosciuto solo a un pastore omanita delle lande più remote dell’Asia. Il resto del mondo, possiamo esserne sicuri, conosce almeno uno dei cavalli di battaglia del cantante napoletano, nato dai canti improvvisati e popolari nella chiesa del suo rione, ma
catapultato nell’iperuranio del successo giovanissimo.

Ed è proprio la sua storia di nascita e ascesa, da un vicolo di San Pietro a Patierno fino al palcoscenico di Sanremo e ai tour mondiali, che il suo primogenito Toni racconta nel documentario Nino.18 giorni. Il film, presentato nei più grandi cinema di Italia, soprattutto con due anteprime a Napoli e a Roma, è disponibile in sala a parte dal 20 novembre 2025.
E le anteprime, pullulanti di fan ma anche di personaggi di grande prestigio artistico e culturale, servono a mettere un punto sulla caratura di un artista molto spesso, erroneamente, bollato come “neomelodico” o “popolare napoletano”. Il primo appellativo non si accosta neanche lontanamente alle origini e alla grandezza artistica di Nino D’Angelo.

Il “popolare napoletano” si approccia in modo superficiale e limitante a una storia napoletana, sì, ma che
non esaurisce in questa etichetta il suo valore.
Toni D’Angelo, figlio appena cinquantenne di Nino, ha voluto percorrere con suo padre una breve strada: 18 giorni insieme, 18 giorni di tour, tra palchi e concerti in omaggio a Diego Armando Maradona, ma anche un road trip tra ricordi, povertà, crescita, alla ricerca delle origini più autentiche di suo padre.

Un’operazione difficile che viene fuori con una inaspettata, ma tenerissima e bellissima, poesia umana e musicale.

Ci sono film che non chiedono d’essere capiti: chiedono di essere attraversati. Nino. 18 giorni, appartiene alla categoria delle opere che non mettono in scena una storia, ma un varco. Non un racconto lineare, ma la vibrazione che resta quando si prova a toccare ciò che, in una famiglia, spesso rimane ai margini del
discorso: il non detto, il taciuto per timidezza, il bisogno che non trova voce.
Il regista non costruisce un monumento al padre: scava una crepa.


E in quella crepa cerca luce. La regia di Toni D’Angelo non cerca l’effetto, non spinge, non strappa. Sembra piuttosto seguire un ritmo interno, come se ogni inquadratura fosse scelta in base al battito emotivo di quel momento, non alla sua funzione narrativa. Il modo in cui la camera si avvicina — mai troppo, mai troppo poco — suggerisce un’intimità che non ha bisogno di dichiararsi.
Non c’è il figlio che osserva il padre, ma un’attenzione che si allarga e si restringe, come un respiro quando si ha qualcosa di importante da dire e non si sa da dove iniziare. Il documentario trova la sua identità nel tentativo — a volte esitante, sempre sincero — di catturare ciò che resta di un uomo quando
lo si osserva al di fuori dei ruoli che ha indossato per una vita intera. Nino D’Angelo non appare come un’icona, ma come un corpo che porta addosso decenni di palchi, di applausi, di incomprensioni e di slanci mai detti.

Non c’è retorica, non c’è autocelebrazione. C’è un uomo che prova a stare dentro la propria storia senza ingannarla. E la leggerezza con cui affronta le sue ombre è forse la cosa più sorprendente:
non le abbellisce, non le sfugge, non le drammatizza. Le lascia esistere. La musica accompagna il racconto, che va su e giù, avanti e indietro, in un tempo unico e dilatato al contempo, presente e passato che coesitono in un legame melodico, ritmico, nei versi cantati a squarciagola da un artista assoluto. E
Napoli? Come entra la città di Napoli, la cornice di una storia da sogno, il pozzo a cui attingere per un’ arte profonda e viscerale? La Napoli scelta da Toni è popolare, ma non nel senso sretto: i luoghi della nascita, della vita, del successo sono estremamente “impopolari”.

La città non entra mai come panorama o cartolina. Piuttosto, si insinua come un richiamo interiore, come un rumore che non abbandona mai chi ci è nato dentro. Napoli non è cornice, è condizione. È la misura emotiva che definisce ogni gesto del protagonista, anche quando non viene nominata.

Il documentario la tratta come un’eco persistente, qualcosa che non si vede ma determina la vibrazione di ogni scena. Napoli è, come Nino e la sua voce: sono nati l’uno con l’altro, l’uno nell’altro, in un abbraccio senza sforzo, naturale e innegabile, inevitabile.
Nino. 18 giorni. È una magia riuscita, vera, un cuore che batte e dona bellezza.

Sveva Di Palma

In foto, teaser ufficiale youtube

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Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.
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