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Dio lo vuole: la moneta che nel 1848 sognò l’Italia

Non occorre un altare perché un simbolo diventi sacro: talvolta basta un piccolo disco d’argento, un riflesso capace di attraversare i secoli e raccontare una patria che, pur non esistendo ancora, si sta già forgiando nell’immaginazione collettiva. Tra tutte le monete nate dal fuoco delle rivoluzioni, nessuna possiede il magnetismo segreto delle 5 lire del Governo Provvisorio di Lombardia, coniate nell’anno che incendiò l’Europa: il 1848. 

Un frammento di metallo, sì, ma anche un frammento di destino. 

Sul lato principale, il dritto, risplende la figura che è l’anima di una Nazione che sta per sorgere: l’Italia turrita. Essa è ritratta come una giovane donna dallo sguardo fiero, incoronata da un diadema che rievoca le mura di cinta delle città, ornato di torri. Questa figura non è nuova; porta in sé l’eco della leggendaria Dea Roma, protettrice dell’Urbe Eterna. La sua bellezza, segnata dalla schiavitù, è la sintesi di secoli di oppressione e di risvegli, di catene spezzate e di sogni mai sopiti. Sul suo capo risplende la Stella raggiante — luce che annuncia un’Italia ancora senza corpo, ma già destinata a nascere. È la stessa che oggi brilla nello stemma della Repubblica italiana; allora, però, era soltanto promessa, fiamma sospesa tra mito e profezia. 

Intorno al volto della Turrita corre una frase che risuona come un giuramento inciso nel cuore della storia: “ITALIA LIBERA DIO LO VUOLE.” Parole che sembrano vibrare dell’eco delle piazze in fermento, del clangore delle armi, delle campane di Milano che, in quel marzo infuocato, rintoccavano la libertà. Persino il valore inciso — “5 LIRE ITALIANE” — è una sfida audace: non lombarde, non provvisorie, ma italiane; un’affermazione di unità nazionale lanciata con oltre un decennio di anticipo sulla sua concreta realizzazione. 

Sul rovescio appare una data che, ben più di una semplice indicazione cronologica, segnò probabilmente la fine dell’epoca moderna: 1848. Quell’anno fu la “Primavera dei popoli”, un’ondata rivoluzionaria in cui i troni vacillarono e le strade si riempirono di gente che reclamava il diritto all’autodeterminazione. In Italia, quell’anno divenne leggenda con le Cinque Giornate di Milano, la precipitosa fuga degli Austriaci e una speranza che, per un attimo, sembrò a portata di mano. Non a caso, nell’uso popolare, si diceva: “Non farmi arrabbiare che scoppia il ’48”, a testimonianza di quanto quell’anno non fu una semplice rivolta politica, ma un vero e proprio terremoto dell’anima collettiva. 


Eppure, dietro il suo lucente argento, si cela il tramonto. Il Governo Provvisorio di Lombardia durò appena pochi mesi, un lampo improvviso che, nel buio del secolo, bastò a lasciare un segno immortale del suo passaggio. La moneta, battuta con mezzi di fortuna, circolò per breve tempo, ma ogni esemplare sembra ancora oggi trattenere un respiro, un palpito: la voce di una Milano in armi, di artigiani e studenti, di donne che nascondono proiettili sotto i grembiuli e di sacerdoti che benedicono la speranza di un’Italia finalmente unita. 

Quando la Restaurazione tornò a calare la sua ombra, soffocando l’entusiasmo popolare, quella piccola moneta rimase in circolazione come testimone muto di un sogno infranto, ma mai estinto. Minuscola e fragile, eppure indomita, è giunta fino a noi come un frammento di libertà. Per gli esperti è un prezioso documento numismatico; per chi la osserva con la giusta sensibilità, invece, è un oggetto quasi sacro, un mito concentrato. La Turrita, la Stella, il motto inciso come una preghiera: tutto in essa trasfigura la materia in un potente simbolo. 

Nel corso del Novecento, mentre imperi e regimi nascevano e si dissolvevano insieme alle loro monete, la 5 lire del ’48 rimase ai margini del tempo, custodita come una reliquia. Collezionisti e studiosi di tutto il mondo la conservarono con rispetto, ma pochi ne colsero la vera essenza: non un conio, bensì un atto di fede fuso nel metallo. 

La sua stella, la stessa che guidò le rivoluzioni, continua a brillare ancora oggi, a ricordarci che la libertà non è mai conquista definitiva, ma va riconquistata, giorno dopo giorno, attraverso la memoria. 

Forse nessun’altra moneta ha saputo parlare tanto, pur restando muta. 

E quando la si osserva, scintillante nella luce, sembra quasi di udire la voce della Turrita che sussurra al popolo che l’ha sognata: 

“L’Italia non muore. Dorme e aspetta.” 

Antonio Palumbo

Fonti: Wikipedia Cinque Giornate di Milano

Photo credits: wikipedia

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Antonio Palumbo

Antonio Palumbo, classe 1999, è dottore in Lettere Moderne e attualmente completa la propria formazione con una magistrale in Filologia Moderna presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Insegna Lingua e Letteratura Italiana in un istituto scolastico privato e, appassionato di lettura e di scrittura, dedica il suo tempo libero anche alla fotografia naturalistica e al collezionismo di libri e di monete antiche. Insegue il sogno di visitare il mondo e di scoprire tutto il fascino e la complessità delle diverse culture umane.
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