COP30: il vertice che corre ai margini dell’Amazzonia mentre il mondo guarda altrove

A Belém si discute del futuro del pianeta, ma il treno della transizione viaggia senza alcuni dei suoi macchinisti.
Per raccontare la COP30 di Belém, forse non bastano i toni freddi dei comunicati né le cifre ripetute all’infinito nei report climatici. Forse dobbiamo tornare a un principio antico, quello di Orazio: docere et delectare. Perché quello che accade ai bordi dell’Amazzonia in questi giorni non è solo politica internazionale: è la trama viva del mondo che verrà. Belém è un crocevia di umidità, foresta e speranze. È qui che la 30ª Conferenza sul Clima sta cercando di scrivere un nuovo capitolo dell’azione globale contro il riscaldamento del pianeta. Eppure, è una storia che i media hanno scelto di lasciar scorrere ai margini, come se non sapesse dove mettere i piedi. Forse perché mancano i protagonisti più ingombranti. Cina, Stati Uniti, India: i tre maggiori emettitori del pianeta non si sono presentati. E anche l’Italia ha lasciato un’assenza ingombrante, priva della presenza della presidente Giorgia Meloni. Una COP monca, verrebbe da dire. Eppure decisiva.
Il treno che corre (e quello che frena)
La transizione energetica globale è un treno in corsa. Lo si vede nei numeri, nelle fabbriche solari in Cina, nei parchi eolici in Europa, nelle startup africane che sperimentano pannelli resistenti alla sabbia del Sahara. Ma ogni treno ha vagoni più veloci e vagoni che arrancano. Gli Stati Uniti sono l’intercity partito in ritardo. Prima potenza economica del mondo, secondo emettitore globale, ma oggi sospesi in un limbo politico che guarda più al petrolio che al domani. Le loro emissioni nel 2025 sono previste in crescita, mentre i target sulle rinnovabili sono stati ridimensionati. E fuori dai negoziati, come un convitato di pietra, gli USA attendono la fine del vertice mentre discutono di nuove esportazioni di combustibili fossili.
Dall’altra parte del mondo c’è la Cina, il treno ad alta velocità della transizione. Produce l’80% dei pannelli solari del pianeta, metà delle auto elettriche e una parte enorme delle tecnologie che ci permettono di immaginare un futuro diverso. Le sue emissioni, finalmente, sembrano aver iniziato a scendere. Un dettaglio? No: forse la prima buona notizia globale dopo anni di curve che puntavano verso l’alto. E poi c’è l’Europa. Un treno veloce, ma che negli ultimi mesi sembra aver premuto con troppa decisione il tasto “pausa”. Eppure rimane l’unica grande economia ad aver dimostrato che crescere riducendo le emissioni è possibile. La domanda, ora, è quanto durerà questa pausa.
Infine l’Africa, il vagone che molti non guardano, ma che potrebbe ridisegnare l’intero convoglio. Sessanta per cento del potenziale solare mondiale, risorse critiche per la transizione, un’economia che cresce più veloce dei climatologi che cercano di prevederla. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ha alzato le stime sulle rinnovabili africane del 25%. Un continente che non vuole più essere il destinatario della transizione, ma un suo protagonista.
Lula e il paradosso dell’Amazzonia
In mezzo a tutto questo c’è Lula. Il presidente brasiliano che guida un Paese alimentato in gran parte da energia pulita, ma che continua a esplorare nuovi giacimenti offshore. Un paradosso che somiglia ai nostri, a quelli di tutti: chiedere un mondo senza fossili mentre ancora ci viviamo dentro.
Dal palco di Belém ha lanciato un appello semplice, quasi disarmante: “Se i combustibili fossili inquinano troppo, dobbiamo imparare a vivere senza di loro”. Non una frase da negoziatore, ma da narratore. E infatti è proprio questo che manca alla COP30: la storia che tiene insieme i pezzi.
Una COP senza giganti: e ora?
Ci sono quasi 200 delegazioni a Belém, ma mancano i tre Paesi che da soli producono quasi metà delle emissioni globali. Questo vertice sarà sufficiente a cambiare il corso delle cose? Forse no. Ma ha il merito di ricordarci che la transizione non è un destino: è una scelta. E, come tutti i treni, può accelerare o deragliare. Resta una domanda sospesa nell’aria umida dell’Amazzonia: possiamo davvero immaginare un futuro decarbonizzato senza chi oggi detiene il potere energetico del pianeta?
Forse non ancora. Ma ogni storia, anche questa, ha bisogno di un inizio. E Belém, nonostante tutto, potrebbe essere proprio questo.
Riccardo Pallotta
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