La cinofilia, una passione che diventa lavoro: intervista all’addestratore Edoardo Andrea Panigati
In un momento in cui sempre più proprietari scelgono di riservare ai propri cuccioli momenti dedicati all’educazione e al gioco, è importante comprendere cosa si cela davvero dietro questo processo di natura cinofila.
Per approfondire il tema, ho scelto di intervistare Edoardo Andrea Panigati: addestratore cinofilo riconosciuto ENCI ed educatore cinofilo CSEN.
- Mi parleresti un po’ di te, delle tue competenze in quest’ambito, come qualifiche, attività e specializzazioni?
«Innanzitutto ti ringrazio per lo spazio che mi stai dedicando. Per lavorare in quest’ambito sono indispensabili delle qualifiche molto specialistiche e professionalizzanti. Sono un addestratore cinofilo ENCI ed un educatore cinofilo CSEN. Ho deciso poi di specializzarmi in tre branche: la prima, il lavoro olfattivo, per cui sono tecnico nose-work CSEN di livello 1, Istruttore e giudice di cerca al fungo sportiva ACSI, Istruttore e giudice di cerca tartufo cavatura ludico sportiva ACSI, Tartufaio abilitato e conduttore di cani da Detection (ricerca sostanze) nel rilevamento di cimici dei letti in alberghi, stanze e veicoli. La seconda, gli sport acquatici, il che mi ha consentito di ottenere la qualifica di Tecnico sport acquatici CSEN livello 1 (principalmente per lo sviluppo della forma fisica del cane). Infine, pratico l’obedience per creare un legame empatico, affettivo e comunicativo forte con i miei cani».
- Come è nata la tua passione per i cani e cosa ti ha spinto a farne una professione?
«Premetto che ho passato tutta la mia vita con i cani, ma si può dire che la mia storia con loro è iniziata in seconda elementare, dopo che mi è stata diagnosticata la dislessia. Questa condizione mi ha portato ad essere vittima di bullismo: non sono mai stato un bambino particolarmente socievole e non avevo nessuna valvola di sfogo, come ad esempio degli sport o dei talenti artistici al di fuori del mio ambiente scolastico. Questo mi ha portato ad una fase che si potrebbe definire “pre-depressiva”.
Vedendo questo mio disagio, mia madre, cinofila appassionata, ha deciso di portarmi ad una fiera di paese per cani da bellezza. Ho sempre avuto una buona sintonia con gli animali, non potevano parlare ma ho sempre percepito quali fossero i loro stati d’animo… E, a quella fiera, ho provato per la prima volta la disciplina del junior handling (conduttore di cani per esposizioni di bellezza under 18), scoprendo finalmente di essere bravo in qualcosa. Ho portato avanti questa disciplina per diversi anni, girando soprattutto il Nord Italia e qualche capitale europea, ottenendo discreti risultati e il riconoscimento di diversi professionisti del settore. Nel 2011, con l’arrivo dell’adolescenza., i miei pensieri si sono focalizzati su altre cose che definirei più “frivole” (come motociclette, ragazze, feste con amici e bevute spensierate…). Volevo in qualche modo uniformarmi al resto dei miei coetanei e non essere più vissuto come “quello strano che porta in giro i cani in giacca e cravatta nei weekend” ma comunque mantenendo il mio legame con loro, tanto che mi sono diplomato come Perito Tecnico Agrario ad indirizzo Zootecnico portando come tesina proprio “Il piccolo levriero italiano” la razza che più mi aveva accompagnato in quegli anni.
Devo dire che è stato molto divertente presentarmi davanti alla commissione d’esame di maturità con un cane al guinzaglio!
Negli anni successivi ho provato ad iscrivermi all’Università in Scienze e Tecnologie per la Natura, con scarsissimi risultati: non sentendomi stimolato non mi sono sentito coinvolto dal piano di studi… Ho provato una serie di lavori, ma anche qui, zero entusiasmo: mi sentivo di nuovo al punto di partenza, senza una strada da percorrere.
Fino a che, un giorno, il mio allevatore di fiducia mi chiede il favore di occuparmi dei cani del suo allevamento mentre lui è in ferie. Il primo giorno, mi sono alzato un’ora prima che suonasse la sveglia: quel momento l’ho vissuto come una svolta… “io voglio lavorare con i cani, perché mi piace!”. Da lì ho deciso di intraprendere il mio percorso formativo come addestratore: studiare era difficile, ma volevo farlo, mi piaceva, ho fatto il doppio delle ore di tirocinio rispetto a chiunque altro nel mio corso ed ero sempre il primo a buttarsi quando c’era da provare un nuovo esercizio. Da allora, oltre a praticare la professione, non ho mai smesso di studiare, formarmi e osservare miei colleghi».
- Quali sono gli errori più comuni che i proprietari commettono con il loro cane?
«Il cuore della mia professione è mediare tra uomo e cane. Il mio lavoro consiste principalmente nel migliorare la comunicazione tra il cane e il suo proprietario. Il 90% dei clienti che arriva da me ha difficoltà nel farsi comprendere dal proprio cane. Di fatto, il mio ruolo è quello di fare da mediatore, costruendo un ponte di comprensione reciproca tra uomo e animale. Uno dei problemi più frequenti che riscontro riguarda cani eccessivamente responsabilizzati. Nella loro vita, i cani hanno delle risorse fondamentali (cibo, gioco e contesto sociale) che spesso tendono a gestire in totale autonomia, con conseguenze negative sul loro benessere. Faccio degli esempi concreti: un cane a cui viene lasciata la ciotola ricolma di cibo disponibile tutto il giorno, affinché possa mangiare quando vuole, in realtà sta gestendo una risorsa importantissima in completa autonomia. Questo lo porta a stressarsi molto e a manifestare comportamenti difficili da gestire, sia dentro che fuori casa. Lo stesso vale per i giochi: averli sempre a disposizione, con l’intenzione di evitare che il cane si annoi, in realtà crea problemi nella vita quotidiana. Se una cosa così importante per il cane è sempre disponibile, non sarà mai motivato a collaborare con noi per ottenere ciò che desidera… Per quanto riguarda la socialità, osservo spesso cani che dentro casa seguono i proprietari ovunque come delle vere e proprie “guardie del corpo”, mentre durante le passeggiate non li degnano di uno sguardo. Questo accade perché sono così carichi di responsabilità che dentro casa non li perdono d’occhio, ma fuori controllano ogni cosa per tenerli al sicuro. Quando incontro per la prima volta un cliente, chiedo sempre come si svolge la vita a casa e come vengono gestite queste tre risorse. La maggior parte delle volte mi trovo davanti cani che gestiscono una o più di queste risorse in totale autonomia, assumendosi la responsabilità dell’intero nucleo familiare e, di conseguenza, stressandosi enormemente. Per questi motivi è nato PsyDog – (@psydog_fomazione): un progetto interdisciplinare con la Dr. Elisabetta Carbone, psicologa sistemico-relazionale, con l’obiettivo di promuovere corsi, master e webinar di informazione per professionisti del settore e famiglie interessate a migliorare la qualità della vita col proprio cane».
- Pensi che esistano razze “più ingestibili” di altre o è solo una questione di educazione e approccio?
«Di fatto, ogni razza ha la sua storia. Abbiamo allevato i cani perché fossero utili a uno scopo preciso, ma oggi non si scelgono più per quello che sanno fare, bensì per quanto sono carini, per quanto fanno ridere sui social o per sentito dire. Quando scegliamo una razza, dovremmo sempre considerare il nostro stile di vita e valutare se la storia e le caratteristiche del cane siano compatibili con noi. Detto questo, non credo esistano razze più complicate di altre: ci sono razze più o meno addestrabili, e quanto queste siano compatibili con la nostra vita quotidiana dipende esclusivamente dalle nostre esigenze personali. Il mio obiettivo professionale è fare seriamente e consapevolmente cultura sulla scelta del cucciolo, aiutando le persone a prendere decisioni più consapevoli, basate sul proprio stile di vita».
- Quali sono i principi fondamentali su cui si basa il tuo metodo di lavoro?
«Ogni cane è a sé, proprio come le persone: ognuno ha il proprio carattere, i punti di forza e le vulnerabilità. Il mio lavoro mi porta, nell’arco di 20 minuti, a dover leggere un cane e capire quale sia il suo carattere, trovando il sistema migliore per renderlo compatibile con il proprietario e sviluppando un percorso affinché riescano a capirsi. Mi piace spesso dire che non mi importa se, quando arrivano da me, i cani sono disobbedienti. Ciò che conta davvero è che i proprietari mi riferiscano miglioramenti nella vita quotidiana. Preferisco vederli tirare al guinzaglio per salutarmi, ma sentire il proprietario dirmi che riescono a vivere con più serenità la loro quotidianità. Lavoro molto sul rinforzo dei comportamenti corretti piuttosto che sulla punizione di quelli sbagliati: è un approccio che in Italia manca ancora molto. Come italiani, siamo abituati a sgridare il cane quando sbaglia, ma raramente a fargli capire quando sta facendo la cosa giusta. Questo fa tutta la differenza nell’educazione del cane».
- Raccontami l’attività del tartufaio abilitato: quali caratteristiche deve avere un cane da tartufo e come avviene la preparazione?
«Il lavoro del tartufaio è, secondo me, il più bello che possa esistere. Non c’è niente di più meraviglioso che stare da solo, in un bosco, con il mio cane, a godermi la natura. Un tartufaio è “il lettore del bosco”: riconosce alberi, foglie, insetti ed erbe e, con l’esperienza individua i punti più probabili per trovare l’oro dei boschi. Un cane da tartufo deve essere profondamente collegato al proprio conduttore, perché all’interno del bosco è difficile lavorare al guinzaglio. Si tratta di un equilibrio delicato: avere il cane vicino e al contempo permettergli di prendere la giusta distanza per cercare in autonomia. Il prerequisito fondamentale è avere un cane che abbia piacere nel condividere il tempo con me, sia attraverso il gioco che il cibo. L’addestramento si è sviluppato sempre più sul divertimento. Le generazioni precedenti tenevano i cani nei box e li facevano uscire solo per lavoro: per loro era un mestiere, e il cane trovava gratificazione nel lavoro perché era l’unica attività che poteva svolgere fuori dalle mura del suo recinto. Negli ultimi anni si sta sviluppando una nuova corrente di pensiero: uscire a tartufi è un’attività in più per il cane, ma estremamente gratificante. Il cane cerca per il proprio piacere, non per quello del conduttore. Io gratifico quello che è un suo risultato personale».
- In che modo le attività sportive o educative influenzano il rapporto tra cane e proprietario? Ci sono sport che consigli più di altri, anche in base alle caratteristiche fisiche e comportamentali dei cani?
«Passare del tempo con il cane in maniera costruttiva, finalizzata a un obiettivo (che può essere una gara o semplicemente un appuntamento fisso settimanale) aumenta esponenzialmente il rapporto che si crea con il proprio animale domestico. Si riesce a conoscerlo in modi che non si credeva possibili. Riesci a vedere come gestisce la frustrazione davanti a un ostacolo difficile, percepisci la soddisfazione che prova quando finalmente supera una difficoltà che sembrava insormontabile, e sei felice con lui. È una gioia condivisa, e penso sia la massima espressione della parola “binomio”. Ogni razza ha la sua storia e la sua utilità: ce ne sono alcune più o meno predisposte a specifiche attività. Ma è anche vero che, essendo esseri viventi, ognuno è un’isola a sé… e razze che sembravano più complicate possono dare ottime soddisfazioni. Per quanto riguarda attività sportive impattanti a livello fisico, come l’agility dog, non mi sentirei di consigliarle a cani fisicamente non prestanti, ai brachicefali (per le difficoltà respiratorie) o agli anacolimorfi come bassotti e basset hound, a causa della loro conformazione fisica».
- Che consigli daresti a chi vuole intraprendere un percorso con il proprio cane per migliorare la relazione quotidiana?
«Consiglio sicuramente di affidarsi a educatori che hanno piacere di condividere la loro conoscenza con i proprietari dei cani, piuttosto che adottare l’approccio del classico “fai questo perché lo dico io”. Chi ha piacere di condividere ha passione per quello che fa e riesce a trasmetterla».
- La cinofilia in Italia: come credi venga considerata oggi, meriterebbe maggiore notorietà?
«La cinofilia in Italia si sta evolvendo: ogni giorno nascono nuovi centri, ma bisogna sempre valutare la qualità dell’insegnamento, affidandosi a personale esperto. Rispetto al resto d’Europa, mi sento di dire che c’è ancora poca cultura del cane a livello popolare, ma sono speranzoso per il futuro. La figura dell’educatore cinofilo è ancora vista come “il ragazzo che gioca con i cani”, quando invece è una persona che ha studiato, si aggiorna costantemente e ha le competenze necessarie per comprendere e migliorare il legame uomo-cane».
Alessandra Lima
In copertina: foto dell’intervistato
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