Futuro d’archivio

C’è qualcosa di ipnotico nel vintage. Non è solo un abito degli anni ’50 trovato in un mercatino, né una borsa logora che profuma ancora di Chanel N°5. Il vintage è un concetto: un ponte tra ciò che siamo stati e ciò che possiamo ancora essere.
È il ricordo materializzato di un’epoca che continua a parlarci, e che in qualche modo ci rende migliori spettatori e protagonisti del presente.
In un mondo in cui il nuovo ci scivola tra le mani a velocità vertiginosa, il vintage rallenta il tempo. Non è nostalgia sterile, ma un atto di resistenza: scegliere un capo che ha già vissuto, che porta sulle cuciture il segno di chi l’ha indossato prima, è un gesto che grida io non mi arrendo all’obsolescenza programmata.
Il bello è che questo concetto non riguarda solo lo stile. È cultura, è etica. Il vintage ci ricorda che la moda può essere circolare, che lo spreco non è un destino inevitabile ma una scelta. Quel cappotto che oggi indosso è lo stesso che ha attraversato una strada parigina negli anni ’70, e sarà lo stesso che forse un giorno indosserà qualcun altro, in una città che ancora non conosco.
E allora mi chiedo: se un abito può vivere tre, quattro, cinque vite… perché non dovremmo farlo anche noi? Perché non imparare dal vintage che ciò che vale davvero non invecchia, ma si trasforma?
Il vintage ci insegna che la moda non invecchia mai davvero: semplicemente trova sempre un nuovo modo di rinascere.
Francesca Lutri
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