Educazione al consenso. Sai riconoscere le micro-violazioni nella tua relazione?

Parliamo di consenso. Non il solito dibattito da talk show dove qualcuno urla “ma allora non posso neanche guardarla?” e finisce tutto lì. Parliamo del consenso come uno dei posti più frammentati, contraddittori e affascinanti dell’universo relazionale umano.
Il consenso non è una questione binaria: non è “sì” oppure “violenza”. Nel mezzo c’è un’intera scala di grigi che per troppo tempo abbiamo imparato a ignorare, tollerare e persino normalizzare. Questa scala di grigi la chiamo micro-violazioni.
Una micro-violazione è quella cosa che succede quando il tuo partner non ti chiede se va bene toccarti ma semplicemente inizia. Quando entra in camera mentre sei in mutande senza bussare. Quando commenta il tuo corpo “per amore”. Quando insiste “solo cinque minuti” quando hai detto chiaramente di no. Quando legge un messaggio privato dal tuo telefono. Quando fa battute sulla tua sessualità davanti a altri. Quando inizia a toccarti “giocando” quando non vuoi.
Le micro-violazioni sono “piccole cose” che “fanno tutti”. Cose che, se le denunci, ricevi indietro quello sguardo (sai di quale parlo) quello che dice: ma dai, non è niente…
Eppure queste piccole cose hanno un impatto enorme sulla nostra relazione. Ogni volta che il tuo confine viene oltrepassato senza permesso, anche se microscopicamente, il tuo sistema nervoso registra una violazione. Non è drammatico, ma è reale. È accumulo. È erosione.
La cosa subdola delle micro-violazioni è che vivono nel regno della normalizzazione, e che il nostro sistema relazionale ci insegna a tollerarle. La mamma che entra in bagno senza bussare quando hai dodici anni. Il padre che commenta il tuo corpo quando ti provi un vestito. Lo zio che ti dà baci non richiesti “perché siamo famiglia”. Il professore che tocca le spalle alle studentesse ma non agli studenti.
E poi arriviamo all’età adulta, dove le micro-violazioni continuano perfettamente integrate nelle nostre relazioni intime, travestite da normalità. Travestite da amore.
La sessualità è il luogo dove il consenso dovrebbe essere più consapevole, più negoziato, più esplicito. Invece spesso è il contrario. È il luogo dove le cose accadono naturalmente, dove parlare di consenso suona “freddo”, dove la comunicazione è sostituita da presunzioni… perché se mi piaci, dovresti sapere cosa piace a me!
Le micro-violazioni sessuali sono particolarmente insidiose perché coinvolgono il corpo, il piacere e l’intimità. Il territorio che dovrebbe essere il più sicuro diventa un campo minato. Tutto questo dentro la narrativa dell’amore e della passione.
L’INTERSEZIONALITÀ DELLA VIOLAZIONE
Le micro-violazioni non colpiscono tutti allo stesso modo. Una donna nera subirà micro-violazioni diverse da una donna bianca. Una persona trans subirà stereotipizzazioni sessualizzate diverse. Una persona disabile affronterà l’assuefazione allo sguardo medicalizzante e sessualizzato sul suo corpo. Una sex worker sarà considerata il “nemico del consenso” per definizione, come se il consenso non le appartenesse già…
Le micro-violazioni vivono dentro sistemi di potere più ampi (genere, razza, classe, abilità, sessualità…), per questo parlare di consenso senza parlare di intersezionalità è parlare di consenso astratto, disincarnato e qindi inutile.
ALLORA, CHE FACCIAMO?
L’educazione al consenso vera non è una lezione singola dove ti insegnano la mappa del “sì” e del “no”. È un processo, è imparare a riconoscere quando il tuo cervello dice “questo non mi piace”, anche se il una vocina dentro di te dice “ma è normale, lo fanno tutti…”. È imparare a stabilire confini quando sei stata educata a negarli. È imparare a chiedere, a ricevere un “no” e a rispettarlo.
È imparare a distinguere tra la passione selvaggia e la violenza travestita da passione. È sapere che il consenso non è una cosa che si dà una volta: è una conversazione continua. È riconoscere che a volte dire di sì è un atto di amore verso sé stessi, ma a volte dire no lo è ancora di più.
E soprattutto è riconoscere che le micro-violazioni non sono “niente”. Sono qualcosa. Sono i mattoni con cui costruiamo le relazioni dove il nostro corpo non ci appartiene completamente, dove la nostra voce non conta completamente, dove l’altro ha più diritto al nostro spazio di quanto ne abbiamo noi.
Smontare questo assunto significa iniziare a parlarne. Crudo, senza filtri, senza scuse.
Significa dire:
“No, non è normale. No, non va bene. No, non lo tollero più”.
Perché il consenso non è romantico. È basilare.
Elisabetta Carbone
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