Cattedre di carta: il silenzioso dramma del precariato scolastico in Italia

Nelle aule dove si mescolano il profumo del gesso e il brusio dei ragazzi, ogni mattina migliaia di insegnanti varcano la soglia con la stessa passione di sempre, ma con un’incertezza che pesa come un macigno. Il loro è un mestiere antico e fragile, fondato su un paradosso: costruire il futuro degli altri senza avere certezze per il proprio. Da decenni, la scuola italiana vive in bilico tra la dedizione e la precarietà, tra la missione educativa e l’attesa di un contratto che, puntualmente, scade.
Ogni settembre è un nuovo inizio, ma non nel senso poetico del termine. È un’attesa carica di ansia, fatta di mail, di graduatorie da controllare, di supplenze assegnate all’ultimo momento. C’è chi insegna da vent’anni e ancora non ha una cattedra stabile, chi conosce a memoria i corridoi delle scuole in cui ha lavorato e, nondimeno, resta un ospite temporaneo. Ogni firma su un contratto a tempo determinato è una scommessa, un atto di fede nel sistema che spesso risponde con silenzi e rinvii. Eppure, quegli stessi insegnanti tornano ogni giorno in classe, con la voce ferma e lo sguardo attento, pronti a seminare conoscenza laddove la precarietà vorrebbe seminare rassegnazione.
La scuola italiana si regge, da anni, sull’instabilità. Ogni autunno migliaia di cattedre vengono affidate a docenti precari, spesso chiamati quando l’anno scolastico è già iniziato. Il risultato è un sistema che vive di emergenze, in cui la continuità didattica diventa un lusso e la programmazione quasi un miraggio. Dietro la retorica del “posto fisso”, ci sono vite spezzate in frammenti di contratti, famiglie sradicate, insegnanti costretti a migrare da una regione all’altra per un lavoro che non garantisce radici.
Ma il precariato non è solo un problema burocratico: è una condizione esistenziale. È vivere sospesi, senza la possibilità di fare progetti, di chiedere un mutuo, di sapere dove si sarà tra sei mesi. È la sensazione di non appartenere mai del tutto a un luogo, di dover dimostrare ogni anno, da capo, il proprio valore. Eppure, nella fatica di questa instabilità, resiste qualcosa di più forte di ogni decreto e di ogni concorso: la dedizione.
Ci sono insegnanti che correggono compiti fino a notte fonda, che restano dopo le lezioni per parlare con un ragazzo in difficoltà, che preparano laboratori, progetti, attività senza sapere se potranno mai raccoglierne i frutti. Sono i custodi silenziosi di una scuola che resiste nonostante tutto, che continua a credere nel sapere come forma di libertà e di riscatto.
Il loro contributo spesso resta invisibile, sepolto sotto la burocrazia e la disattenzione delle istituzioni. Eppure, è da loro che passa la vita della scuola, da quelle voci che insegnano la pazienza del pensiero, la forza del dubbio, la bellezza della conoscenza.
Il precariato scolastico è una ferita che attraversa l’Italia con la discrezione di ciò che si dà per scontato. Ma dietro ogni registro, dietro ogni lezione, c’è una storia di resistenza e di amore per un mestiere che, più di ogni altro, richiede fede. Forse, se si ascolta il silenzio di un’aula vuota dopo l’ultima campanella, si può sentire ancora quel respiro ostinato e tenace di chi, nonostante tutto, continua a credere che educare significhi costruire un futuro anche quando il proprio sembra non esserci.
Antonio Palumbo
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