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Volevo ridere, non volevo piangere: serie TV in grado di far ridere e riflettere

Negli anni il ruolo della televisione è cambiato, proprio come programmi e show. Tuttavia, sapete cosa non è mai cambiato? Il nostro amore per le serie TV, per sit-com e telenovelas. 

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Che si tratti di capolavori di ironia statunitense, gioielli di english humor o emblema della cultura messicana e spagnoleggiante, questi show possono essere sia leggeri, sia un luogo dove affrontare domande scomode. 

Tuttavia, le serie che valgono davvero sono quelle in grado di fare entrambe le cose: farci ridere di gusto e, un attimo dopo, lasciarci lì, nudi a riflettere sul senso della vita. Pertanto, oggi siamo qui per analizzare cinque show che riescono in questo equilibrio raro, cinque serie TV note per essere divertenti ma anche profonde, abili nel mettere in scena emozioni autentiche senza tradire la loro natura comica.

Scrubs, il medical comedy 

Il titolo Scrubs gioca su più significati: indica la divisa medica, il lavaggio accurato delle mani prima di un intervento e, in senso figurato, i “novellini”, perfetto per descrivere l’inesperienza dei protagonisti. John Michael Dorian, detto J.D., è proprio tra questi ultimi: un novellino che, assieme al suo migliore amico Christopher Turk, è al suo debutto come tirocinante al Sacro Cuore. J.D. si innamora subito della collega Elliot Reid, trova in Perry Cox un mentore burbero e riluttante, si scontra con il primario Robert Kelso, interessato più al bilancio che ai pazienti, e riceve il sostegno della capoinfermiera Carla Espinosa, futura compagna di Turk. 

Scrubs è esempio perfetto di una serie che cammina su due binari: da un lato gag rapidissime, cutaway surreali e battute che esplodono in faccia allo spettatore, dall’altro momenti di dolore e vulnerabilità che prendono il sopravvento senza preavviso. 

Venticinque minuti di risate e poi cinque di lacrime amare. Il trucco della serie ideata da Bill Lawrence sta nella sincerità del punto di vista: i medici sono giovani spesso goffi, o primari immaturi, ma si confrontano ogni giorno con vita e morte. Questo contrasto rende le emozioni più forti, e ci investe all’improvviso proprio a causa di uno spaccato di vita ospedaliera più realistico di quanto si pensi. 

Inoltre, le prime otto stagioni sono raccontate interamente dal punto di vista di J.D., che funge sia da protagonista sia da voce narrante esterna in ogni episodio. Questo escamotage narrativo permette allo spettatore di immedesimarsi nei personaggi, ognuno dotato di una forte caratterizzazione. Dopotutto, la struttura delle stagioni alterna sketch comici a lunghe scene di introspezione, e questo andamento dà allo spettatore il permesso di ridere e poi, subito dopo, di fermarsi a riflettere su perdita, responsabilità e crescita personale. In breve, Scrubs è una serie comedy che può farti morir dal ridere, ma anche soffrire come mai prima d’ora.

Parola del Dottor Cox.

The Good Place, cosa succede dopo la morte?

Dopo aver perso la vita in un supermercato, la giovane Eleanor si risveglia nell’aldilà. Qui il suo mentore Michael le spiega che è stata accolta nella “parte buona” per le sue presunte azioni altruistiche e per aver salvato molti innocenti dalla pena capitale. Ma Eleanor, donna egocentrica ed egoista, realizza subito l’equivoco: l’hanno confusa con qualcun altro. Pertanto, anche stavolta, in presenza di angeli e mentori, dovrà mentire per il suo tornaconto, mettere da parte la sua verve fumantina e imparare a trattare le persone con rispetto… pregando non la scoprano!

The Good Place parte da un’idea apparentemente semplice: cosa succede dopo la morte? C’è davvero un Aldilà?

La serie unisce humor brillante e colpi di scena continui, ma riservando uno sguardo più serio al quotidiano e all’etica personale dell’individuo. Ciò che la distingue dal marasma di serie TV è, dunque, la sua capacità di rendere accessibili concetti filosofici e deontologici senza incappare nel tranello della banalità. Nella Parte Buona, difatti, le lezioni morali emergono proprio dagli errori commessi dai personaggi e dai loro tentativi goffi di essere persone migliori. 

Forte di un tono che gioca sul contrasto tra situazioni assurde e commoventi, la serie di Michael Schur ci insegna davvero qualcosa su come trattare gli altri, sulla virtù e il senso del dovere, sul non maltrattare noi stessi. Perché, alla fine dei giochi, vivere è proprio questo: imparare a perdonare noi stessi e convivere con i nostri “errori del passato”.

Jane the Virgin, una telenovela metanarrativa 

Jane Gloriana Villanueva, ventitreenne con il sogno di diventare scrittrice, studia al college ed è fidanzata con Michael Cordero Jr., ambizioso detective di Miami sulle tracce del criminale “Sin Rostro”. Cresciuta con la madre Xiomara, rimasta incinta a 16 anni, e con la nonna Alba, devota e severa nei precetti religiosi, Jane ha interiorizzato i loro insegnamenti al punto da arrivare vergine all’età adulta. Durante una visita di routine, però, la dottoressa Luisa Alver, turbata da problemi personali, la sottopone per errore a un’inseminazione artificiale con l’ultimo campione di sperma di Rafael Solano, suo fratello e scapolo ambito. Scopertasi incinta, Jane affronta incredulità, stress e tensioni familiari, ma sceglie di portare avanti la gravidanza, dando così avvio a una vicenda… sorprendente!

Quanto incide il destino sulla nostra storia?

Jane the Virgin è forse uno degli esempi più lampanti di “serie comedy che fanno riflettere lo spettatore”. La serie TV di Jennie Snyder Urman è un lupo travestito da agnello, un ibrido tra telenovela melodrammatica e show squisitamente americano. Se gravidanze indesiderate e improbabili, tradimenti, morti improvvise, fraintendimenti sono all’ordine del giorno, i personaggi sono squisitamente umani e perfettamente caratterizzati. Non solo “macchiette da telenovelas”, bensì esseri umani investiti da elementi e situazioni al limite dell’assurdo, pur provando sempre emozioni “credibili” e realistiche. 

La premessa stessa è sì un espediente comico, ma non è mai fine a sé stesso, poiché è a partire dalla gravidanza che avrà inizio la cronaca delle avventure della protagonista, fortemente legata alla propria famiglia matriarcale, alla religione e con un forte senso del dovere. E la voce narrante, con il suo tono metanarrativo, sottolinea spesso questo alone di “assurdità” che permea la vita di Jane, rendendo partecipe lo spettatore in tutto e per tutto.

Ci ha fatto ridere e ci ha commosso, ma spesso ci siamo ritrovati anche riflettere sulla ricerca della nostra identità, sulla maternità o sui diritti delle minoranze.

Modern Family: la famiglia come specchio sociale

Tre nuclei familiari di Los Angeles, legati tra loro da vincoli di parentela, accettano di mostrare la propria vita quotidiana a una troupe che gira un documentario, mettendo in luce dinamiche domestiche, momenti affettuosi e situazioni comiche. Al centro c’è Jay Pritchett, patriarca sposato in seconde nozze con Gloria, colombiana molto più giovane di lui e madre di Manny, avuto da un precedente matrimonio. Sua figlia Claire vive con il marito Phil, eccentrico e ottimista, e i loro tre figli: Haley, ragazza attraente e popolare; Alex, brillante e studiosa; e Luke, il più piccolo, stravagante come il padre. Il figlio minore di Jay, Mitchell, convive invece con il compagno Cameron: insieme hanno adottato una bambina vietnamita, Lily.

Modern Family ha aggiornato e stravolto il genere comedy. Con tre nuclei famigliari interconnessi, la serie è un falso documentario che offre una rappresentazione di famiglia ampia e inclusiva, forte di coppie eterosessuali, famiglie ricomposte, famiglie omogenitoriali. Questo pot-pourri di temi è atto a dimostrare che le differenze non annullano l’amore, e che la vita risulta più “leggera” con una buona dose di umorismo. Dopotutto, la forza dello show è il mix tra battute calibrate, tempi comici perfetti e situazioni che riflettono la realtà domestica e quotidiana. 

Tuttavia, anche Modern Family sa offrire spunti di riflessione, spingendo lo spettatore a meditare su identità, accettazione e comunicazione intergenerazionale. È una sitcom che fa ridere di quello che siamo, con le nostre abitudini, i compromessi e le contraddizioni.

After Life, esorcizzare il dolore con il cinismo

Tony è un uomo di mezza età che, dopo aver perso la moglie a causa di un tumore, precipita in una profonda depressione. Per affrontare i suoi impulsi autodistruttivi, decide di stravolgere completamente il proprio modo di vivere, scegliendo di dire e fare qualsiasi cosa desideri senza più freni o censure. Per lui questo atteggiamento diventa quasi una sorta di un’arma contro il dolore. Tuttavia, questa nuova e cinica visione della vita finisce per complicare i rapporti con chi gli sta intorno: amici, colleghi e famigliari cercano in ogni modo di aiutarlo a ritrovare un equilibrio e a riscoprire il lato migliore di sé, spingendolo verso un lento percorso di rinascita, atto a riflettere sulle sue fragilità.

After Life è Ricky Gervais: se non ci fosse stato lui, probabilmente la serie non sarebbe mai esistita. Direttore, creatore, produttore e interprete, il celebre comico mette al centro del suo show il dolore, provando a esorcizzarlo. La serie ci mostra, dunque, un protagonista segnato da un lutto devastante, ma a cui risponde con cinismo, sarcasmo e gesti autodistruttivi. Tony si tramuta in un misantropo in piena regola, ma questa nube grigia di sofferenza viene dissipata da piccoli gesti di quotidiana gentilezza, come una parola dolce, uno sguardo, una conversazione. 

After Life non è una serie semplice. Spesso fa male, spesso vi farà piangere, ma a nostro parere è un vero capolavoro di umanità. Quella vera, non costruita: vera come la satira di Gervais.

How I Met Your Mother

Nel 2030 Ted Mosby, architetto affermato, decide di raccontare ai suoi due figli la lunga serie di eventi che, venticinque anni prima, lo hanno condotto a incontrare la donna che sarebbe diventata sua moglie e loro madre. Il racconto riparte dal 2005, quando Ted era un giovane single a New York, in cerca del vero amore. Condivideva l’appartamento con i suoi storici amici Marshall Eriksen e Lily Aldrin, coppia inseparabile fin dai tempi dell’università. Al gruppo poi si aggiunse Barney Stinson, ricco e incallito donnaiolo. Tutto comincia, però, dal giorno in cui Ted conosce Robin Scherbatsky, giornalista canadese appena arrivata in città, con la quale intreccia un legame complesso, a cavallo tra amicizia e amore. La serie segue così le vicende sentimentali e quotidiane dei cinque amici, sullo sfondo della New York dei primi anni Duemila.

Chiudiamo il nostro elenco con How I Met Your Mother, una comedy divisiva che per molti è stata quasi la “figlia spirituale” di Friends, per altri quanto di più lontano esista dallo show di David Crane e Marta Kauffman. 

Ma perché è così celebre? Ebbene, How I met your mother vanta una struttura narrativa originale: lo storytelling a scatole cinesi, gag concatenate che saranno spiegate anni dopo, nonché la capacità di far crescere personaggi nel tempo. La serie TV è una lezione su amicizia, sul fallimento e sulla necessità di correre il rischio, alternando risate a momenti commoventi, ma che esortano il pubblico a riflettere sulla vita e sul lavoro, sulla carriera e sulla famiglia, sull’amore e sul lutto. 

Necessario, tuttavia, approcciarcisi scevri di pregiudizi: lasciate che il flusso della storia vi travolga.

Cosa vogliamo diventare?

Se cerchi consolazione e lacrime sincere miste a risate, scegli After Life o Scrubs. Se vuoi una comedy che ti costringa a pensare senza insegnarti la morale dall’alto, The Good Place è un must. Per un intrattenimento che gioca con la forma e la metafiction, vai su Jane the Virgin; per risate familiari ma anche riflessioni sociali, Modern Family è imbattibile. E se ti manca una lunga storia di amicizia con twist continui, How I Met Your Mother è la compagnia ideale.

Queste serie dimostrano che la commedia può essere uno strumento potente: non serve solo a farci scappare una risata, ma anche a ricordarci chi siamo (Tony), cosa temiamo (Ted e J.D.) e – soprattutto – cosa vogliamo diventare (Eleonor). Buona visione.

Federica Polino

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Federica Polino

Federica Polino, "per gli amici Polly", appassionata di anime e manga sin dal lontano 1992. Diplomata al liceo classico, dopo una breve tappa all'Accademia di Belle Arti sono tornata all'ovile, iscrivendomi a Lettere Moderne. Affamata di conoscenza, giustizia e divoratrice di libri, siano essi di storia, fantasy o classici, non fa differenza: sono da sempre i miei fedeli compagni d'avventure.
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