Alberto Paolini, 42 anni in manicomio e una vita rubata

Quella di Alberto Paolini non può essere definita una storia felice. Parlerei più di ingiustizia, ma anche di grande forza, la forza di un uomo che mentre attraversava il buio totale, ha trovato nella scrittura il modo per tenere insieme i pezzi della sua vita.
Alberto nasce a Roma nel 1932, ha solo 5 anni quando suo padre muore e appena 11 quando viene a mancare anche sua madre. Viene mandato in orfanotrofio ma poco tempo una famiglia lo adotta. Alberto è solo un ragazzino e crede di ricevere l’amore che gli è stato strappato troppo in fretta, ma non è così, la donna in realtà ha adottato Alberto per adempiere al voto fatto alla Madonna in cambio di una grazia e inoltre la coppia non apprezza il carattere introverso di Alberto che viene sottoposto a visite mediche e il consiglio del Dottor de Santis è sempre lo stesso: il ragazzo deve ambientarsi, conoscere, scoprire, giocare, insomma, vivere le esperienze di un bambino della sua età e capire che nonostante la vita sia stata dura, nel mondo c’è ancora bellezza; i genitori adottivi però non sono d’accordo e così il giovane viene riportato indietro, come si riporta indietro una maglia. Alberto non andrà in orfanotrofio, ma al Santa Maria della Pietà il manicomio in cui rimarrà per i successivi 42 anni, uscendo solo nel 1990, poco dopo la promulgazione della Legge Basaglia.
Alberto è sano, è solo un ragazzino timido, nessuno mai gli ha diagnosticato malattie; eppure, viene sottoposto all’elettroshock ed è costretto a passare la maggior parte della sua vita tra le mura del manicomio, luogo ed esperienze di cui ha parlato, con estrema lucidità, fino alla fine dei suoi giorni.
Avevo solo le mie tasche
Solo questo rimaneva ad Alberto, le sue tasche. Un ragazzo, poi un giovane adulto, un uomo da solo con sé stesso per anni. L’unica via di fuga Alberto riesce a trovarla nella scrittura. Un giorno, un infermiere che era solito acquistare quattro sigarette sfuse, ne comprò tre e una matita per il giovane, e così nel 1962 inizia a scrivere, ma non gli era permesso avere un quaderno e così le sue parole si fanno strada ovunque: pezzetti di carta trovati in giro, retro di qualsiasi cosa, e scatole di cibo; poi nascondeva tutto il suo piccolo mondo di carta nelle tasche e nelle maniche, perché nessuno potesse trovarlo e portargli via anche quello.
Dal 1990 Alberto, ormai cinquantottenne ha vissuto in una casa – famiglia ricevendo aiuto dal personale dell’Asl
All’inizio dell’articolo ho scritto che Alberto ‘’ha trovato il modo di tenere insieme i pezzi della sua vita’’ ed è nel 2016 che questi frammenti vengono pubblicati sotto il titolo Avevo solo le mie tasche, una luce sulla psichiatria di quegli anni e sui trattamenti subiti da coloro che erano considerati ‘’matti’’, una pagina dolorosa di storia di cui però bisogna informarsi.
Alberto Paolini è morto il 31 gennaio 2025, a 92 anni, pochi mesi dopo che una caduta lo ha costretto a letto, ma le sue parole resteranno l’eredità di un paese che ha sbagliato e la voce di chi ha subito in silenzio, perché gridare non era ammesso.
Marianna Russo
Immagine generata con AI
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