Alleanze post-occidentali e l’Africa sfila a Shanghai

A Shanghai, l’evento che cambia la narrazione sulla moda africana. Artigianato, impatto e visione: così la Cina diventa spazio di possibilità.
Alla Shanghai Fashion Week AW25, in un contesto dominato da creatività asiatica e sperimentazione post-digitale, un’iniziativa ha spostato l’asse del discorso verso Sud: Africa Reimagined, piattaforma ideata da Development Reimagined con il supporto di Afreximbank. Il progetto ha portato in passerella — e negli showroom — oltre 20 brand africani con una visione chiara: l’Africa non è musa, è protagonista.
Più di una sfilata, un vero e proprio manifesto culturale rivendicato
Il 29 marzo, l’evento collettivo “Vibrant Africa” si è trasformato in una mappa vivente di estetiche africane contemporanee. Dalla sartoria minimalista di Mafi Mafi (Etiopia), alla fusione tra hanfu e pattern tribali proposta da Molebatsi (Sudafrica), ogni collezione ha rifiutato la riduzione del folclore. Il brand Ejiro Amos Tafiri (Nigeria) ha portato in scena “Symphony of Convergence”, una composizione in tessuto tra drappeggi orientali e simbolismi africani, una vera diplomazia visiva.
Accanto alla passerella, workshop e showroom hanno favorito incontri tra designer africani e buyer cinesi, articolando un vero dialogo economico. Non solo visibilità ma opportunità concrete, business-to-business, storytelling e posizionamento strategico.
La moda, in questa cornice, smette di essere superficie per diventare infrastruttura culturale: un sistema di valori, visioni e relazioni. La moda crea spazio — spazio per essere visti, per produrre capitale, per fondare alleanze.
Non si tratta solo di vestiti, ma di chi li fa, come, perché e per chi. E soprattutto, da dove.
Dietro ogni elemento è forte il messaggio: rifiutare l’estrattivismo estetico dell’Occidente e sostituirlo con un’auto-narrazione consapevole. L’artigianato non è nostalgia, ma tecnologia del territorio. La sostenibilità non è trend, ma continuità con pratiche ancestrali. La bellezza non è stile, ma linguaggio di potere.
Africa Reimagined ci ricorda che la moda quanto sia capace di anticipare forme alternative di sviluppo. Ogni abito esposto, ogni tessuto tinto, ogni collaborazione con artigiani senior afferma un modello economico circolare, decolonizzato, capace di rigenerare valore a partire dal locale.
Cina e Africa che vanno oltre le retoriche
Il progetto nasce con una volontà geopolitica precisa. “La Cina non ha mai trattato l’Africa come un continente da aiutare, ma da investire”, ha dichiarato Hannah Ryder, fondatrice della piattaforma Development Reimagined. Una frase che ribalta decenni di narrazione eurocentrica e caritatevole. Qui non si parla di “inclusione” termine spesso usato per anestetizzare le disuguaglianze ma di redistribuzione della centralità.
La Shanghai Fashion Week si trasforma così in un luogo dove le gerarchie globali si sospendono e si aprono varchi per nuove alleanze. La Cina ospita, l’Africa costruisce. La moda, ancora una volta, media.
E se Parigi guarda all’Africa come fornitore o musa, qui l’Africa prende parola, struttura reti, produce valore. Non è più immaginata da altri, ma si immagina da sé, e lo fa in una lingua che unisce estetica, business e visione politica.
Mentre le vecchie capitali della moda arrancano tra crisi e autoreferenzialità, Shanghai sembra diventare un laboratorio del futuro. Dove il Sud globale non chiede spazio, ma se lo prende senza sovrastare ma con eleganza, strategia e potenza simbolica.
Africa Reimagined è uno dei segnali da comprendere, la nuova estetica globale non verrà più dai centri ma dalle connessioni, quelle autentiche.
Serena Parascandolo
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