Il surrealismo della moda contemporanea. Teatrale? Disturbante? Si, ma necessario.

Un viaggio nel surreale firmato Schiaparelli e Balenciaga che ci invita a decostruire noi stessi, per fare i conti con un presente sempre più distopico e reale al tempo stesso.
Elsa Schiaparelli è stata colei che ha saputo tramutare il surrealismo in moda.
Era amica di Salvador Dalí, ma non si limitava a essere una musa: era parte attiva di quel movimento, che sentiva dentro non solo come arte, ma come filosofia esistenziale.
I suoi abiti mettono in crisi non perché incomprensibili, ma perché, in quanto surreali, vanno decifrati, decostruiti e analizzati.
Ogni singolo capo diventa arte indossata, puro attivismo di chi, attraverso l’arte e la moda, ci interroga sulla rappresentazione e sull’identità.
Cappelli a forma di scarpa rovesciata (visioni condivise con Dalí), bottoni a forma di labbra, orecchie e aragoste giganti che diventano ironia sessuale, Schiaparelli vuole decostruire l’idea borghese, rompere i canoni imposti e infrangere le regole del gusto dominante.
Il surrealismo gioca e diventa erotico, oscuro, ma anche ironico.
Questo, ovviamente, destabilizza il pensiero di chi è chiuso nelle proprie linee di confine, e oggi come ieri, quando qualcosa ci disturba, lo attacchiamo per difesa.
Anche Coco Chanel, all’epoca, forse provava lo stesso con lei, tanto da definire Schiaparelli “l’italiana che fa abiti da clown”, mentre Elsa creava disordine estetico per generare consapevolezza politica.
Oggi la direzione creativa è nelle mani di Daniel Roseberry, dal 2019.
Non è semplice – o meglio, non è da tutti – riuscire ad adattarsi a quel tipo di movimento, a sposarne la causa e a sentirlo parte di sé, a meno che non lo si abbia dentro. Roseberry forse sentiva di dover turbare le sue costruzioni religiose (viene da una famiglia estremamente religiosa) per potersi esprimere, e questo può essere il veicolo più giusto. Non copia Elsa, anzi, la traduce nel linguaggio di oggi.
Il surrealismo di Roseberry è teatrale, iconico, carico di simboli religiosi. Inneggia a corpi scolpiti, quasi divinizzati, eppure qui non si grida allo scandalo della finta inclusività, perché oggi possiamo fare tutto purché ci sia autenticità, e qui, diciamocelo, ce n’è da vendere.
Schiaparelli couture oggi sembra viaggiare su una linea tutta sua (surrealista?), non gioca su narrazioni o storytelling, né su messaggi forti difficili da mantenere. Schiaparelli è teatro, è installazione, e sull’arte non ci si può mettere a discutere.
La sfilata Haute Couture P/E 2025 la prima cosa che salta all’occhio è la sacralità. La sfilata è un culto, e quindi quando sono le modelle statuarie a sfilare, stiamo in silenzio. Non vedremo body positivity, queer o altro, ci limitiamo a osservare il culto. Siamo alienati.
Il surrealismo di Roseberry interpreta, si espone, eppure ci interroga profondamente perché, alla fine, è moda. Ma che tipo di moda? Qui non sfilano corpi “veri”.
Le modelle sono dee glaciali, simboli di una potenza muta. E allora ci si chiede: è reale? Sì. Ma quanto ci è distante?
Nel mezzo di una sfilata monumentale, tra seni d’oro, occhi cuciti e volti moltiplicati, spicca lui: un cuore anatomico, gonfio, lucente, perfetto. È il simbolo per eccellenza della vita, del dolore, del desiderio.
Ma quello che manca è il battito. Siamo corpi che si muovono senza battito del cuore, ai limiti del paradossale. Un’estetica del corpo senza corpo.
Il surrealismo della sfilata non gioca col potere, piuttosto ce lo mostra per come è, senza fronzoli o altro se non nella sua natura più viva, una vita messa in scena con la perfezione della morte.
Il surrealismo di Schiaparelli oggi ci mostra, con quasi brutale chiarezza, quanto c’è ancora da fare per smontare i nostri bias cognitivi. Per alcuni siamo appena all’inizio, per altri non si è ancora cominciato, eppure, nel mezzo della totale apatia, un cuore pulsante riesce ancora a fermarci, siamo vivi.
Se parliamo di surrealismo contemporaneo, chi meglio di Demna Gvasalia di Balenciaga?
Il suo surrealismo è meno onirico e più radicato nel grottesco della realtà contemporanea. Mentre Elsa usava l’arte per decostruire i canoni borghesi con ironia e provocazione, Demna distorce la realtà quotidiana per metterne a nudo contraddizioni e paradossi.
Le sue sfilate sembrano scenari surreali, con volumi esagerati e rifiuti trasformati in lusso. Quanto c’è di decostruzione anche qui? Ci spinge a interrogarci sul significato stesso della moda e della società.
Il surrealismo di Balenciaga è più crudo, urbano e spietato, quello di Schiaparelli raffinato, teatrale e iconico. Entrambi, a modo loro, ci costringono a mettere in discussione ciò che credevamo certo, così come le apparenze e i pregiudizi.
La sfilata Balenciaga Primavera/Estate 2025, presentata il 9 luglio a Parigi, segna un capitolo decisivo nella carriera di Demna Gvasalia, che ha annunciato il suo passaggio a Gucci.
Si riscoprono gli archivi personali, la sfilata inizia proprio con le sue origini più intime, ricreando il tavolo della cucina di sua nonna, dove da bambino iniziò a disegnare abiti.
Nella stessa chiave di lettura, un passaggio tra vecchio e nuovo, una fusione di elementi classici e moderni. La collezione si muove su un equilibrio tra il classico e il contemporaneo, con un’ispirazione agli anni ’40, epoca di eleganza e rigore soprattutto, rivisitata in chiave dissonante e quasi irriverente.
Tessuti pregiati come pizzi e trasparenze convivono con forme volutamente esagerate, mascherine scure, volumi ampi e decostruiti, e berretti see-through (trasparenti), molto in linea con l’estetica innovativa e spesso “disturbante” di Balenciaga.
Con questa collezione, Demna afferma che la moda può essere non solo estetica.
Come l’atto di rievocare il passato, di celebrare le origini ma anche di deformarle e ri-contestualizzarle, diventa un modo per interrogarsi sul presente e sul futuro.
Demna saluta così il brand storico, interrogandosi sul presente e su un futuro che, come per tutti noi, appare incerto e complesso. Entrambe le sfilate ci pongono di fronte a interrogativi potenti.
Non sono semplici collezioni pensate solo per vendere un prodotto, ma creazioni che riescono ancora a trasmettere un messaggio vivo e a riflettere pienamente la contemporaneità di questo momento storico.
Sono distopiche, eppure terribilmente reali.
Dopotutto, è proprio questo il mondo che stiamo vivendo: una realtà distopica di cui spesso ci chiediamo quanto sia autentica e, nonostante tutto, lo è.
Serena Parascandolo
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