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Pitti Uomo 2025. Un pianeta lontano e pochi ribelli sulla terra

Un universo di compostezza ingessata, lacerato da una moda che urla di tornare umana e politica.

Pitti Uomo è uno degli eventi più importanti dedicati alla moda maschile.

Si svolge due volte all’anno a Firenze e riunisce stilisti, brand, buyer, giornalisti e appassionati da ogni parte del globo.
Non è solo una fiera commerciale, ma un vero e proprio laboratorio di tendenze, dove si scoprono le novità stilistiche e culturali che influenzeranno l’abbigliamento maschile nei mesi a venire.

Quest’anno il Pitti Uomo è sembrato per certi versi un momento distopico. Una compostezza ingessata, un’eleganza troppo rigida che stona con il caos sociale in cui stiamo precipitando.
La moda deve far sognare, certo, ma non può girarsi dall’altra parte mentre il mondo brucia: guerre, crisi climatica, intelligenza artificiale invasiva, tensioni sociali che avanzano.

Non possiamo accontentarci di sfilate spettacolari e di un ritorno alla sartorialità rassicurante, come se nulla fosse. Sembra di tornare agli anni ’70, quando le grandi maison cucivano abiti per le élite, mentre il mondo fuori esplodeva: rivolte, femminismi, piombo, corpi liberati e vite in lotta, ignorando le strade, la realtà vera.

Non stupiamoci se le persone hanno scelto di guardare altrove, di boicottare. I prezzi esorbitanti e gli scenari troppo squilibrati non si sentono più rappresentate. La gente chiede di essere ascoltata sul serio.

Una delle sfilate che meglio rappresenta questo senso di distacco è stata quella di Homme Plissé Issey Miyake. Poetica, sì, ma sembra quasi urlare un senso stanco di “a noi non tocca”.
Luci, paesaggi, minimalismo zen che invoca calma e relax, un messaggio che invita a ignorare la realtà restando nella propria bolla. 

In quello scenario manca il dissenso. La moda oggi deve schierarsi, prendere posizione più che mai.

Ed ecco il coraggio inaspettato di Brunello Cucinelli, che nonostante un heritage dorato, smette di sussurrare.


«Il lusso non può essere quieto, non ci si veste per essere anonimi».


Un’ascia che taglia il mito del quiet luxury ormai da smontare pezzo per pezzo. Cucinelli, paladino di un capitalismo umanistico, sposta il focus su qualità e prezzi giusti, senza ostentazione, ma con una consapevolezza profonda e concreta. Le sue giacche si allungano, i colori si aprono a influenze femminili, mentre lui parla di diritti e dignità del lavoro. 

Cucinelli dimostra che, con semplicità e autenticità, si può fare politica vera senza urlare. 

Ma noi vogliamo di più: vogliamo rottura, glitch, sovversione!

E il glitch c’è. Lo vediamo chiaro nelle creazioni di Hideaki Shikama, che mette in scena un patchwork anarchico di football-jersey, denim over-dye, souvenir jacket spaccati e ricuciti con rigore sartoriale.
Un caos elegante quello di Children Of Discordance che urla la frattura di un sistema, un corpo urbano che si ricompone a pezzi.

Se Cucinelli e Shikama sembrano opposti, in realtà sono due facce della stessa medaglia: entrambi scavano sotto la superficie, entrambi vogliono raccontare storie vere. 

A fare da ponte c’è Niccolò Pasqualetti, che con trasparenze, uniformi destrutturate e set quasi vuoti sfida la mascolinità tradizionale e il concetto di genere.
Un corpo fluido, fragile e forte insieme, una dichiarazione di inclusività radicale.

La vera novità di Pitti 25 non è lo stile, è il messaggio: il lusso deve tornare a parlare di esseri umani (come dice Cucinelli), mentre la creatività emergente chiede di rompere, strappare e riassemblare (come Shikama e Pasqualetti).

La distanza tra questi è solo apparente; semioticamente sono la stessa risposta a una crisi profonda: rendere visibile ciò che conta davvero. 

Pitti Uomo, il coraggio e la responsabilità, appunto.
Peccato che in troppi abbiano dimenticato cosa significhino davvero quelle parole. 

E allora la domanda si impone, brutale: cosa vogliamo davvero dalla moda oggi? 

Vogliamo ancora vestire status symbol spacciati per ideali o vogliamo abiti che raccontino la nostra rabbia, la nostra fragilità, la nostra voglia di cambiare il mondo?

Nel prossimo articolo ci tufferemo nel cuore pulsante della Milano Fashion Week, a caccia di segnali di ribellione e speranza. 

Questo è solo l’inizio. 

Serena Parascandolo 

Leggi anche: Gli abiti più iconici dell’alta moda (quando non c’erano ancora Nike e Obey) – Parte I

Serena Parascandolo

Serena Parascandolo, classe ’89, napulegna cresciuta tra vicoli, sottoculture di locali underground e sogni infranti. Scrivo di moda, politica e sottoculture con una penna affilata e un cuore malinconico e sorridente, come un ossimoro. Femminista, queer, terrona, mamma. Studio e imparo ancora, perché la strada è lunga e il mondo troppo complicato per accontentarsi. La mia scrittura prova a essere un atto d’amore e una piccola rivolta.
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