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No Pride in Genocide: verso un Pride antisionista

È da più di 70 anni che Israele occupa la Palestina seguendo un progetto di violenta colonizzazione e pulizia etnica, di cui il genocidio iniziato nel 2023 (e ancora in corso) è forse la fase più violenta e crudele.

L’esercito militare israeliano (IDF) si serve sistematicamente di diverse tattiche per annientare il popolo palestinese; non solo bombardamenti, ma anche fame, sete, mancanza di cure…e propaganda sionista, che viene diffusa soprattutto in Occidente attraverso i media tradizionali.

Rainbow-washing

Un punto cruciale della propaganda sionista è il rainbow-washing, tattica usata per distrarre il mondo intero dalla perdita di vite umane palestinesi e mettere in cattiva luce la Palestina. Ma come funziona?

Si tratta di “un’attività sociale o di marketing indirizzata a presentare una realtà come queer-friendly allo scopo di aumentarne il consenso presso il pubblico, anche se non lo è”.

Da più di 20 anni Israele porta avanti il suo progetto di rebranding per apparire più cool e moderno agli occhi del mondo, pur reggendosi internamente su politiche e dinamiche ingiuste e violente; oggi la convinzione che Israele (e in particolare Tel Aviv) sia una sorta di paradiso per la comunità queer è purtroppo molto diffusa. 

Ma è tutto falso

L’omotransfobia è in realtà molto presente nel Paese e tra tutti i suoi rappresentanti. Addirittura, secondo il deputato ultraortodosso Yitzhak Pindrus “l’omosessualità è una minaccia più pericolosa di Hamas per Israele”, e i soldati queer dell’esercito israeliano subiscono violenze verbali e sessuali, e i palestinesi queer vengono minacciati di outing dalle autorità israeliane per ricattarli a diventare informatori…ma troviamo lo stesso i soldati dell’IDF che sventolano bandiere arcobaleno sulle macerie nella Striscia di Gaza, vantandosi di ciò che in verità è una forma di omonazionalismo.

Le persone queer vengono usate da Israele per legittimare molte delle proprie politiche, difatti l’identità israeliana cerca di porsi in opposizione al popolo palestinese, che viene dipinto invece come estremamente omofobo, cancellando così l’esistenza stessa di una sua propria comunità queer.

Sì, esistono persone queer in Palestina. Esistono ovunque, sono sempre esistite ovunque, esisteranno sempre ovunque. E meritano sicurezza, diritti e dignità.

È solo una delle tante armi di cui Israele si serve per giustificare la ripetuta violenza contro i palestinesi, e anche contro le stesse persone queer israeliane che si dichiara di star liberando. 

I Pride antisionisti 

Le diverse soggettività e collettivi della comunità queer italiana non sono rimasti in silenzio. Giugno è il mese del Pride, in celebrazione e ricordo di tutte le lotte queer passate e presenti, iniziate “ufficialmente” con i Moti di Stonewall (che vedono tra le attiviste principali Marsha P. Johnson e Sylvia Rivera, due donne transgender) il 28 giugno 1969, data che simbolicamente segna l’inizio del movimento di liberazione queer moderno in tutto il mondo.

La lotta, nel corso degli anni, è divenuta sempre più intersezionale; le oppressioni sono tutte interconnesse, hanno legami profondi tra loro e le dinamiche che si verificano sono perlopiù uguali. 

È per questo che la lotta di un3 deve essere la lotta di tutt3. 

Nascono per questo motivo, quest’anno, iniziative queer “indipendenti”, che vogliono allontanarsi da alcuni degli ideali portati avanti dai pride istituzionali.

Ma come?

A Roma, durante il Pride tenutosi sabato 14 giugno, si è diffusa l’iniziativa di spegnere la musica per 5 minuti e restare in silenzio per commemorare le vittime del genocidio della popolazione palestinese, mentre tantissime bandiere palestinesi venivano alzate in alto con orgoglio.

Il carro ebraico lgbtq+ (Keshet Europe) si è opposto, proponendo di alzare la bandiera della pace per non “schierarsi da nessuna parte”. Ma come possiamo parlare di schieramenti, quando è in corso un genocidio e le grandi potenze mondiali non solo non fanno nulla di concreto per fermarlo, ma lo alimentano con la compravendita delle armi e legami finanziari con Israele?

È vergognoso che molti giornali italiani abbiano difeso il carro ebraico, che è risultato completamente sconnesso dalla lotta intersezionale e dalla solidarietà verso il popolo palestinese. Ed è evidente che la stessa popolazione ebraica abbia al suo interno vittime dell’operazione israeliana di rainbow-washing.

Anche Napoli si è fatta sentire. In opposizione al Pride istituzionale organizzato e finanziato principalmente da Arcigay Napoli (anche attraverso sponsor di marchi che non hanno mai interrotto il legame economico con Israele), associazione che in passato ha operato con giustizia e orgoglio nel territorio napoletano ma che ora si è trasformata in un vortice capitalista e sionista, soprattutto se consideriamo la figura del presidente napoletano, Antonello Sannino, attualmente bloccato a Tel Aviv poiché era stato invitato lì per il Pride israeliano.

Inoltre, dall’inizio del genocidio, Arcigay Napoli non ha mai ancora utilizzato questa parola; ha espresso solidarietà a tutte le vittime dei “conflitti”, delle “guerre” …ma è davvero una guerra se un fucile d’assalto combatte contro una pietra? Se una bomba non trova un’altra bomba ma solo fame e disperazione?

Dall’esigenza di volersi sentire rappresentate correttamente, molte persone e collettivi (tra cui I’m Queer Any Problem?) hanno dato vita all’Arrevutamm Pride, che si terrà il 28 giugno a Napoli

È un Pride totalmente autofinanziato, senza sponsor, transfemminista, antisionista e anticapitalista. Che parte dal basso per rappresentare tutt3!

Affinché la lotta continui ad essere intersezionale, e per dare dignità alla lotta palestinese e alle identità queer palestinesi che si trovano ora a vivere sotto due minacce di morte, quella omotransfobica e quella della violenza genocida israeliana.

NO PRIDE IN GENOCIDE!

Marcella Cacciapuoti

Leggi anche: Perché un etero va al Pride? C’è ancora bisogno di rispondere? – La Testata Magazine

Illustrazione di Sonia Giampaolo

Marcella Cacciapuoti

Classe 2001. Laureata in lettere moderne e studentessa di filologia moderna. Scrivo, leggo, e sogno un dottorato in linguistica. Mi chiamo Marcella e sono in continua evoluzione. Innamorata delle parole e affamata di pace. Racconto le storie degli altri per trovare la mia.
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