Mindset di crescita o gaslighting spirituale? Quando la psicologia diventa tossica

Motivazione a tutti i costi, pensiero positivo e guru sempre pronti a biasimarti: se la “psicologia” ti fa sentire peggio, forse non sei tu il problema.
Ci hanno ripetuto fino alla nausea “se non cresci, muori”.
Ma nessuno ci aveva avvisato che il cambiamento, nel 2025, sarebbe diventato una sorta di imperativo morale, un’ideologia totalitaria nascosta dietro aforismi su sfondi pastello e video motivazionali di 60 secondi. Viviamo nell’era del gaslighting spirituale, dove se non sei felice… è solo colpa tua.
C’ERA UNA VOLTA…
C’era una volta la psicologia (una scienza, tanto imperfetta quanto affascinante), ma poi sono arrivati loro, i guru del mindset, i coach da garage, i terapeuti fai-da-te di Instagram. E tutti, ma dico proprio tutti, dicono solo una cosa: “tutto dipende da te”. Se sei triste, se hai l’ansia, se la tua relazione va a rotoli, se il lavoro ti fa schifo… dipende unicamente da te ed è solo una questione di atteggiamento.
Spoiler: no, non è sempre vero.
Lo stramaledetto mindset di crescita (concetto partorito da Carol Dweck con buone intenzioni e, tra l’altro, ottime ricerche) è diventato in breve tempo una religione laica. Applicato fuori contesto, diventa solo una frusta emotiva: se non riesci è perché non ci stai credendo abbastanza, se fallisci, è perché non sei abbastanza resiliente, se fai sentire la tua voce al partner sei un manipolatore narcisista. E se osi lamentarti, sei solo un vampiro energetico.
In sintesi, tu sei il responsabile di tutto, anche di ciò che non controlli. In teoria questo si chiamerebbe empowerment, ma al momento somiglia tanto a una colossale presa in giro.
Metto le mani avanti: non c’è nulla di male nel voler crescere, migliorare, apprendere e cambiare. Ma quando ogni sforzo viene valutato in termini di produttività ecco, qui iniziano i veri problemi. Perché il confine tra motivazione e manipolazione si fa sottile, quasi invisibile.
Si fa anche pericoloso se si pensa a tutte le volte che abbiamo letto frasi come: “ogni fallimento è un’opportunità”, “tutto accade per una ragione”, “se vuoi, puoi: allora fallo!”, “attiri solo ciò che sei” e così via.
Frasi perfette per una tote-bag o un reel di TikTok, un po’ meno per affrontare un lutto, una depressione o un esaurimento da burnout.
La logica è la stessa delle diete miracolose: ti vendono una trasformazione ma, se non funziona, scaricano la colpa su di te. E così la psicologia, da strumento di comprensione, diventa un’arma di colpevolizzazione personalizzata: il fallimento non è più sociale, sistemico o contestuale. Il fallimento è solo tuo.
Diamo un nome a questo mostro: gaslighting spirituale. Il termine viene da un vecchio film in cui un uomo faceva credere alla moglie di essere pazza, manipolando la realtà. Film bellissimo, anche se datato. Oggi il gaslighting ha messo i leggings e insegna yoga al tramonto, invalidando le emozioni e nascondendosi dietro il linguaggio della “crescita interiore”.
Soffri di attacchi d’ansia? Ovviamente non mediti abbastanza. Hai perso il lavoro? L’universo ti sta mandando un messaggio. Sei stanco morto e collassi sul divano prima delle nove? Allora è il momento di “alzarti e risplendere”.
Questo approccio (ridicolo) non solo riduce il dolore a una questione di mindset, ma ti fa pure sentire in colpa. Facile nascondere la complessità emotiva sotto il tappeto della presunta “vibrazione alta”! È l’arte di silenziare il dolore umano tra un incenso e un hashtag motivazionale: sei triste? Cambia frequenza, non rompere le palle.
L’INDUSTRIA DELLA FELICITÀ E SOLUZIONI PRÊT-À-PORTER
E quindi la felicità non è più una possibilità, ma un dovere. E dove c’è un dovere, c’è un mercato redditizio e in rapida espansione. Si moltiplicano i manuali motivazionali, i corsi di empowerment, i ritiri spirituali deluxe a 2000€ a botta (baby, la trasformazione non ha prezzo). Il disagio diventa una nicchia di mercato, la fragilità un business scalabile.
Intanto, la psicologia – quella vera – arranca. Le neuroscienze vengono citate a caso (piacciono soprattutto i neuroni specchio, a quanto pare), il DSM viene usato come un oracolo e chi studia davvero viene zittito dal coach da garage. Perché nel tritacarne dei social la sofferenza psicologica non viene accolta ma monetizzata.
LA TIRANNIA DELLA RESILIENZA
Ma non basta essere forti.
Bisogna anche essere resilienti, luminosi, consapevoli, e chi più ne ha più ne metta. Bisogna sorridere anche quando tutto va a rotoli (sia mai che spegni la tua “luce” o uccidi le tue “vibrazioni”) come se il dolore fosse solo una cattiva abitudine temporanea da perdere.
Ma c’è una differenza abissale tra accogliere la sofferenza e negarla sotto forma di mantra. Il rischio? Un’umanità anestetizzata, che si colpevolizza per provare emozioni… normali. La tristezza, la rabbia, la stanchezza, la noia, la routine, l’ozio, il tempo perso o un chilo di troppo non sono segnali di fallimento spirituale. Sono esperienze umane.
La resilienza non dovrebbe essere un obbligo, ma una possibilità – e soprattutto non dovrebbe essere un alibi per ignorare le ingiustizie sociali o per medicalizzare ogni crisi esistenziale.
E no, non tutto si risolve con un pallosissimo “diario della gratitudine”.
QUINDI CHE SI FA? SI BUTTA VIA TUTTO?
No, ma bisogna recuperare il senso originario della psicologia: uno spazio di ascolto, non di prescrizione morale. Un posto dove si può stare male senza essere giudicati, dove la crescita è un processo, non una performance da documentare con reel e caroselli aesthetic.
Basta col mito dell’individuo totipotente che può tutto ma se solo ci crede abbastanza: la verità è che non possiamo sempre, non dobbiamo sempre e, soprattutto, non siamo soli in questo. Crescere non è diventare invincibili e perfetti, ma imparare a cadere meglio. E magari, a volte, restare a terra per un po’.
CONCLUSIONE (ESISTENZIALMENTE ONESTA)
Nel 2025, distinguere tra mindset di crescita e gaslighting spirituale è più difficile che mai. La psicologia, se trasformata in slogan, può diventare tossica. La vera crescita non è sempre positiva, non è sempre veloce e soprattutto… non è sempre instagrammabile.
E questo, nel mondo dei fake smile e dei filtri motivazionali, è già un atto rivoluzionario.
Elisabetta Carbone
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