Golfo del Messico… O Golfo d’America?

Come è ormai noto, il 20 gennaio 2025 il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, ha emesso un mandato esecutivo con cui è stato deciso il cambiamento toponomastico del Golfo del Messico.
I sistemi informativi geografici degli USA lo hanno, dunque, rinominato Golfo d’America.
Per quanto assurdo possa sembrare ai giorni nostri, è davvero successo!
Ma cosa stiamo dimenticando della storia del “Nuovo Continente” e delle civiltà che lo occupavano ben prima dell’età Coloniale?
Prima del 1492
Ripercorrendo la storia, mentre l’Europa era impegnata in giochi di guerra e strategia, il continente americano era abitato da popoli precolombiani ben specifici, con una loro storia ed evoluzione.
Stiamo parlando dei famosissimi Maya, Aztechi ed Inca, concentrati nella zona dell’attuale Messico e della Regione andina. Ovviamente, il nuovo continente era abitato anche da altri popoli, alcuni prettamente nomadi o seminomadi.
Nell’immaginario collettivo si tende a figurare questi popoli come arretrati e selvaggi, ma è un grave errore. Infatti, i popoli avevano una fitta organizzazione sociale, ma soprattutto eccellevano nella costruzione di complessi monumentali strabilianti, come le grandi piramidi costruite da maya e aztechi. Analogamente, anche i popoli nomadi del Nord seguivano le orme di queste tre popolazioni più famose.
Insomma, una fitta rete di civiltà così diverse da quella che era l’Europa ai tempi, ma comunque degna di nota.
È anche una questione di nomi
Com’è noto, un tempo i nostri Stati europei avevano diverso nome.
Ma l’America, invece?
Sono poche le fonti a riguardo, tuttavia l’odierna comunità dei nativi ha deciso di rivolgersi al continente che abitano con il nome di Abya Yala, dal termine omonimo che significa “terra in piena maturità”.
Al contrario del gesto di Trump, questa distinzione di termini è dettata da secoli di soprusi e sfruttamento che i discendenti dei popoli precolombiani hanno subito e subiscono tuttora.
Una chiara prova di ciò è il termine “indios”.
Questo termine è stato coniato proprio durante gli anni del colonialismo, con accezione negativa.
Sebbene questo nome nasca dall’equivoco di Cristoforo Colombo, è comunque dilagato per apporre una netta frattura fra i popoli precolombiani e gli abitanti europei, questi ultimi considerati superiori.
Non tutti però avevano questa mentalità.
L’inizio del colonialismo del XVI secolo, vede come protagonisti la Spagna e il Portogallo, pronti a navigare l’oceano per creare nuove colonie nell’immenso continente “scoperto”.
Tuttavia, al contrario di quello che abbiamo appreso in secoli di storia successiva, c’era un re che cercava in ogni modo di proteggere i popoli preesistenti sul suolo americano.
Parliamo di Carlo V, lo stesso che emanò leggi importanti a favore dei popoli precolombiani.
Tuttavia, la distanza tra il nuovo e il vecchio continente, gli impedirono di ottenere una maggior efficacia nelle leggi da lui emanate, e il risultato è stata la progressiva oppressione.
Il resto è storia
In un mondo sempre più connesso, i passi avanti che si fanno nei confronti di una minoranza piuttosto che un’altra sono davvero allarmanti. Una di queste, la più trascurata, è la comunità dei nativi.
Eppure, quando c’è da discutere su chi c’era prima in un dato territorio, l’Europa prende ferme posizioni, spesso cedendo addirittura al razzismo. Lo abbiamo visto con la questione degli immigranti in Italia, che ha implicitamente creato una classificazione di stranieri più importanti di altri, la cui differenza era solo la provenienza e il colore della pelle.
Ma, quando una minoranza – come quella dei nativi – cerca di sopravvivere nella propria casa d’origine, gli Stati Uniti d’America decidono di votare un presidente repubblicano e conservatore, ignorando una verità assoluta: la storia dimostra che quel continente che l’Europa vanta di aver scoperto, era già la casa di qualcuno; quella di cui parliamo è solo l’ennesima terra rubata ad altri popoli, vittime dell’ennesimo uomo caucasico che ha fatto credere alle masse che il colore della pelle comportasse anche una certa inferiorità.
Parla la scienza
Nel secolo scorso sono stati diversi gli scienziati che si sono interrogati sul mito della “razza”, tra cui i genetisti Richard Lewontin e Luigi Cavalli-Sforza.
Fu il primo, Lewontin, ad analizzare il DNA di sette “razze” diverse, scoprendo poi che la differenza tra queste fosse ben poca.
Al contrario, tutte erano legate da antenati comuni.
Il genetista italiano Cavalli-Sforza ne confermò successivamente i risultati.
L’essere umano non ha razze, ma solo etnie che si distinguono per peculiarità che hanno aiutato l’uomo a sopravvivere in un determinato territorio.
Eppure, a discapito della scienza, alcune importanti personalità politiche ancora si divertono a generare odio facendo leva su quanto l’uomo sia spaventato dalla diversità.
Rispettando la storia e le nuove scoperte scientifiche, possiamo dire che quella terra appartenuta a splendidi popoli non ha bisogno di nuovi termini ricoperti di ipocrisia e ignoranza, ma di un solo nuovo nome: Abya Yala.
Valeria Ruggiano
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