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La sindrome di Münchausen per procura e il caso Gypsy Rose

Cosa si intende per “sindrome di Münchausen per procura”? E per quale motivo Gypsy Rose Blanchard è diventata recentemente virale sui social network?

Gypsy Rose Blanchard vanta 9,9 milioni di seguaci su TikTok e 8,3 milioni di follower su Instagram. Eppure, quello che, all’apparenza, potrebbe sembrare un profilo di una influencer nasconde in realtà una storia estremamente drammatica.

Gypsy è infatti appena stata scarcerata per l’omicidio di sua madre, avvenuto nel 2015. La sua storia viene ricordata come il caso più rappresentativo e mediatico della sindrome di Münchausen per procura. Ma in cosa consiste questo fenomeno? 

Quando parliamo di “sindrome di Münchausen”, ci riferiamo ad una patologia che spinge chi ne è affetto ad attribuirsi da solo alcuni sintomi di una malattia fittizia. Il nome di questo disturbo si collega al Barone di Münchausen, un militare tedesco vissuto nel Settecento, ricordato poiché raccontava storie estremamente inverosimili sul suo passato. La sua fantasia e la sua personalità sono arrivati anche ad ispirare il romanzo “Le avventure del barone di Münchausen”. 

Da questa sindrome è poi stata individuata la “sindrome di Münchausen per procura” che, secondo le definizioni mediche, consiste nella “creazione intenzionale o simulata di una malattia o dei suoi sintomi in un bambino (o in un altro essere dipendente), fatta per i vantaggi che il tutore trae dall’attenzione associata alla malattia”.

Nella maggioranza dei casi, infatti, chi si prende cura di un bambino inizia a fingere che quest’ultimo sia gravemente malato, al fine di ricevere attenzioni e compassione dall’esterno. Negli esempi più drammatici, i responsabili di questo vero e proprio abuso arrivano addirittura a somministrare medicinali alle vittime, recando effettivi danni alla loro salute. 

Attualmente, non esiste una lista chiara di sintomi per riuscire a scovare questa sindrome, poiché i comportamenti delle persone che ne sono affette sono estremamente variabili. È doveroso sottolineare anche che, in alcuni casi, si rischia di non credere a chi sostiene di avere una malattia che, in seguito, si rivela essere vera ed estremamente rara.

Nel 2023, proprio a questo proposito, su Netflix è approdato “Salvate Maya”, un documentario che racconta la drammatica vicenda di Maya Kowalski, una bambina che a 10 anni iniziò a soffrire di alcuni sintomi a cui i medici non riuscirono a collegare nessuna diagnosi.

Tuttavia i suoi genitori, e in particolare sua madre Beata, non si sono mai arresi, riuscendo a trovare uno specialista che identificò nella “sindrome dolorosa regionale complessa” la patologia che ha colpito Maya. Tuttavia, in seguito ad un ricovero in ospedale, i medici iniziarono a sospettare che in realtà la bambina fosse vittima della “sindrome di Münchausen per procura”, accusando sua madre di essersi inventata questa patologia rara. Ciò comportò l’allontanamento forzato di Maya dai suoi genitori, trascinando sua madre in uno stato depressivo, culminato nella decisione di togliersi la vita. 

In seguito, la malattia rara di Maya venne accertata, mentre una sentenza legale si è recentemente espressa a favore della famiglia di Maya. Questa drammatica vicenda è la dimostrazione di come la diagnosi della sindrome di Münchausen per procura debba essere invocata solo dopo aver scartato tutte le altre ipotesi

Non c’è nessun dubbio sulla diagnosi, al contrario, nella vicenda che ha interessato Gypsy Rose Blanchard e sua madre, Dee Dee. Come anticipato, infatti, Gypsy Rose è recentemente diventata una celebrità negli Stati Uniti, partecipando ad eventi mondani e ricevendo molta attenzione sui social network.

D’altronde il suo drammatico passato è stato da sempre un argomento molto discusso, sin da quando, nel giugno del 2015 sua madre Dee Dee è stata trovata senza vita nella loro casa nel Missouri. Madre e figlia erano conosciute localmente poiché Gypsy era nata prematura e soffriva di diverse patologie gravi, tanto da essere costretta ad alimentarsi artificialmente e a muoversi su una sedia a rotelle.

Dee Dee sosteneva la figlia anche e soprattutto grazie a diversi aiuti dello stato e di enti benefici. Interrogata dalla polizia, in seguito al ritrovamento del corpo di sua madre, Gypsy iniziò però a raccontare una storia completamente diversa. Emerse che, per tutta la sua vita, era stata costretta da sua madre a fingersi malata, tanto da doversi radere periodicamente i capelli e da fingere di non riuscire a camminare.

Gypsy ammise inoltre di essere la responsabile della morte di sua madre, poiché non riusciva più a sottostare ai suoi abusi. L’omicidio venne commesso fisicamente dal fidanzato di Gypsy, che è stato successivamente condannato all’ergastolo. Gypsy, al contrario, è stata condannata a molti anni di carcere in meno, poiché il suo atto è stato collegato alla disperazione e alla sofferenza che ha dovuto affrontare per tutta la vita. Molti trovano che la grande popolarità acquisita da Gypsy sui social network sia inquietante, poiché si tratta comunque di una donna condannata per omicidio.

Tuttavia, è necessario sottolineare quanto sia importante sensibilizzare l’opinione pubblica su questa sindrome ancora poco conosciuta, di cui Gypsy è a tutti gli effetti una delle poche testimoni dirette. 

Stefania Berdei

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Immagine autoprodotta 

Stefania Berdei

Classe 2000, scrivo di tutto ciò che solletica la mia fantasia. Studio Mediazione linguistica e culturale, poiché penso che la diversità e la ricchezza culturale siano il motore del mondo. In attesa di un ritiro spirituale su un’isola tropicale, cerco di essere ogni giorno la versione migliore di me stessa. Nel resto del tempo, mi nutro di serie televisive, film e libri.
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