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Victim blaming, incolpare la vittima del suo destino

Attribuire la responsabilità di un crimine, disgrazia, tragedia, stupro o molestia alla vittima non è né infrequente né casuale, ma serve a proteggerci dalla paura. 

Vabbè, però te la sei un po’ cercata!

La strategia del colpevolizzare la vittima abita in noi, e ci siamo cascati un po’ tutti in questa psicopatologia della vita quotidiana, parafrasando il caro vecchio Freud – che su questo ci aveva visto lungo. 

No, dire «ma io non ragiono così» non ti salverà e non ti renderà immune, perché tutti incolpiamo sempre gli altri e tutti pensiamo di avere il controllo sugli eventi.

Attribuire alle vittime di un qualcosa quella determinata cosa ci fa crogiolare nel senso di sicurezza, una sorta di tacita e retorica responsabilità per quello che è accaduto. 

Quante volte abbiamo sentito incolpare i poveri per la loro povertà, gli analfabeti per la loro ignoranza, i malati per la loro malattia? Le donne stuprate per lo stupro, quelle abusate per gli abusi, quelle malmenate per le botte? 

A me non succederebbe mai perché… 

Se il mio ragazzo ci provasse, io

Ma è colpa sua, come ha fatto a non ribellarsi?

Queste frasi marce invadono i nostri pensieri perché incolpare la vittima ci rende esenti dal problema: essendo colpa sua, la responsabilità è sua, mica mia o nostra. 

Incredibile la mente umana, quante scorciatoie conosce per risolvere i problemi – soprattutto quelli di attribuzione: appioppare la responsabilità alla vittima (immaginiamo, di violenza di genere) consente di scaricare la colpa sulle sue caratteristiche piuttosto che a cause esterne o circostanziali. Lei era fragile, era succube, aveva paura, non aveva amici… dando un personalissimo senso alla realtà, ci proteggiamo dalla paura dell’ignoto, del mondo esterno, delle circostanze. 

La nostra mente conosce molte altre scorciatoie, e la più pericolosa percorre il sentiero della semplificazione: è facile sottrarre elementi dalle situazioni complesse, supponendo che la vittima sia la causa della sua sofferenza, con il suo comportamento o le sue caratteristiche individuali. Questo ci conforta: “vabbè, se io non mi comporto così, se io non sono così, se io non penso così… non accadrà quella cosa anche a me”.  

Incolpare la vittima del reato ci fa allontanare dalla capitale delle paure, quella di diventare anche noi vittima

La nostra mente ha anche creato una città tutta sua, la città dei giusti, dove tutti ci meritiamo quello che ci accade, ricompense o disgrazie che siano. 

Ed ecco che è sempre colpa di qualcuno. 

Elisabetta Carbone 

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Fotografia di Roberto Cirillo  

Elisabetta Carbone

Sono Elisabetta Carbone, classe ’93, milanese di nascita ma cittadina del mondo. Mi sono diplomata al conservatorio per scoprire che volevo laurearmi in storia. Mi sono laureata in storia per scoprire che volevo laurearmi in psicologia. Dopodiché ho scoperto la sessuologia, ma questa è tutta un’altra storia. Non faccio un passo senza Teo al mio fianco, la mia anima gemella a 4 zampe. Docente, ambientalista, riciclatrice seriale, vegetariana.
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