Die Mauer ist weg, il Muro non c’è più
Evento del tutto inatteso, visto che gli stessi protagonisti della politica mondiale non immaginavano che il Muro stesse per cadere, forse forse, fino a un minuto prima che succedesse.
Aloha. È il 1984 e con Come saremo, i Pooh, esplorano l’idea di un futuro prossimo e quindi, di incertezze e attese.
Un testo che riflette sul passare del tempo e contempla come sarà il mondo coinvolto nella relazione con le persone, tra circa vent’anni. Contempla anche eventi globali e quello che sarà il progresso sociale, interrogandosi sul futuro della leadership politica, sullo stato delle relazioni internazionali e sui progressi tecnologici.
“Chi sarà il presidente americano? Se c’è ancora il muro di Berlino, il rock ‘n’ roll e la Ferrari.” Ma partiamo dal principio. Cioè dell’identità che fu. I primi sbarramenti ai confini del blocco sovietico verso Berlino Ovest furono costruiti la domenica mattina del 13 agosto 1961: era il Muro di Berlino, che era lungo 155 chilometri e che divise la città in due fino alla fine della Guerra Fredda. Ci vollero poche ore, migliaia di soldati e tonnellate di filo spinato.
Il muro di Berlino, che divise la città per 28 anni, fu costruito dalla Repubblica Democratica Tedesca, alleata dell’Unione Sovietica, per separare Berlino Est da Berlino Ovest, che si trovava nel territorio della Ddr, ma, amministrata da Francia, Regno Unito e Stati Uniti. La divisione era stata decisa dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
Fu messo in piedi tra la mezzanotte e l’alba di un fine settimana d’estate, mentre tanti erano fuori città. Alla sua realizzazione lavorarono migliaia di persone, separando, da un giorno all’altro, strade, piazze ed edifici. Sempre nell’arco della stessa notte furono interrotti anche tutti i collegamenti urbani: alle 6 di mattina erano già state chiuse quasi duecento strade, una sessantina di incroci e 12 stazioni di treni.
Ma il Muro di Berlino era ben più di mattoni e calcestruzzo, era il simbolo di un mondo diviso e l’ultima testimonianza di quello che fu il regime dell’Unione Sovietica. La sua caduta, infatti, restituì la libertà agli abitanti di Berlino Est ma allo stesso tempo comportò la disfatta dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche che da lì a breve sarebbe capitolata.
Un altro pensiero. Era il 1983 e Stefano D’Orazio in quello che è l’album apripista della trilogia digitale, ovvero Tropico del Nord, opta per un testo politico che tratta del Muro di Berlino. Da Berlino Est il protagonista vorrebbe passare, spinto dalla voglia di libertà, dall’altra parte, captando le radio FM dell’ovest con il loro bagaglio di innovazione. Allo stesso modo, Berlino Ovest è una piovra, lancia degli orrendi tentacoli che respirano alito pesante sul collo di chi, presto, si ritroverà in vetrina a prostituirsi (“ma non fanno giorno mille lucciole”). Insomma dalla padella alla brace, ma alla fine il protagonista opta per un sano anarchico immedesimarsi col sole: forse il vero sole dell’avvenire, quello che “in casa mia passaporto non ha, entra ed esce da sé”.
Lettera da Berlino est è un brano wave e impreziosito dall’uso del Fairlight, primo campionatore digitale di cui i Pooh sono tra i pionieri in Italia. Ho chiaro, davanti agli occhi, il filmato del documentario sulla creazione del disco che, vede D’Orazio suonare i tamburi campionati colpendo con le dita a mo’ di bacchette direttamente i tasti del Fairlight, per ottenere dei fill robotici ad hoc. Il pezzo sarà usato per irrompere nel mercato tedesco, sia per le sue caratteristiche musicali elettroniche, che, ovviamente, per le tematiche scottanti.
Ma nessun muro è per sempre. Le sbarre si alzano e fiumane di vessati sfociano nella libertà. Abbracci, gioia e via all’euforico stordimento prodotto dall’onda d’urto del treno della storia quando passa sferragliando e fischiando così forte da rendere impossibile non accorgersene: la notte della caduta del Muro di Berlino, fu tutto questo e definirla solo storica sarebbe quasi riduttivo.
Era il 9 novembre del 1989. Quella notte cominciò poco prima delle 19,00 con la conferenza stampa del portavoce del governo della Ddr, Guenter Schabowski, in cui l’allora corrispondente dell’ANSA a Berlino est, Riccardo Ehrman, con una domanda ne innescò altre che via via portarono all’annuncio: si poteva oltrepassare il Muro.
La diretta tv che inquadrava Ehrman seduto ai piedi del tavolone da cui parlava Schabowski, spinse decine di migliaia di berlinesi dell’est verso i posti di frontiera fra le due parti della città. Le guardie, colte di sorpresa da un afflusso così massiccio, chiesero ordini su come comportarsi ma comunque alzarono le sbarre bianche e rosse permettendo a tutti di passare senza controlli: una resistenza senza equipaggiamenti anti-sommossa. Del resto, era tecnicamente impossibile e inutile. Per quasi 30 anni avevano sparato contro chiunque tentasse di scavalcare il Muro, responsabili più o meno, direttamente, della morte di almeno 140 fuggiaschi solo a Berlino.
Poi, per tutta la notte, solo festa. Si urla “libertà” e ci si abbraccia forte. Tutti qui. Insieme. Si stappano bottiglie, si accendono fiaccole, si sventolano le bandiere della Germania e un tabloid annunciava già che “Berlino è di nuovo Berlino”.
P come pionieri. Al di qua e al di là, quattro ragazzacci, hanno immaginato la caduta del Muro di Berlino, quando, ancora, sembrava un’utopia. La verità è che non esistono muri capaci di impedire la nostra voglia di libertà.
La mia e la tua.
Guarirò dal difetto di sognare? No.
Francesca Scotto di Carlo
Leggi anche: Contro ogni muro – Berlino, 9 novembre 1989