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Iran: il veleno è nell’aria ma nessuno è responsabile

Continuano i casi di avvelenamento a scapito delle studentesse nelle scuole dell’Iran.

Si parla di casi di avvelenamento respiratorio in seguito all’inalazione di composti chimici. Gli istituti coinvolti sarebbero più di 52.

I sintomi che le giovani presentano, una volta ricoverate in ospedale, sono sempre gli stessi: tosse, difficoltà respiratorie, irritazione a naso e gola, palpitazioni, mal di testa, nausea, vomito e intorpidimento degli arti.

Facciamo il punto della situazione.

Le prime segnalazioni da avvelenamento per sostanze gassose risalgono allo scorso novembre 2022, nella provincia di Qom, dalla quale si sono diffusi a macchia d’olio in tutto lo Stato, tanto da obbligare molte famiglie a ritirare le proprie figlie dalle scuole che frequentavano.

Sono 13.000 le studentesse ricoverate o che hanno avuto necessità di cure mediche negli ultimi mesi e c’è stato un unico, ma pesantissimo, decesso, che porta il nome di Fatemeh Rezaei: 11 anni, nessuna colpa.

C’è chi chiede pene severe per i responsabili che, se arrestati, potrebbero dover rispondere di un capo d’accusa per il quale è prevista la pena di morte. Ma non scarseggia chi invece ritiene che i ricoveri e i malesseri raccontati dalle studentesse siano frutto della loro immaginazione, o semplicemente dello stress.

Non ci sono prove concrete di avvelenamento” è una frase che, da quando sono cominciate le proteste nelle strade iraniane nel settembre 2022, le studentesse che vi hanno preso parte, sono abituate a sentire. Fa eco nella loro testa e rimbomba sotto l’hijab che, sempre più di frequente, tolgono in pubblico come segno di ribellione, mostrando con coraggio i capelli sciolti.

Pur tentando di non vedere e non ascoltare, i casi di avvelenamento non avrebbero nessuna causa ignota, ma sarebbero la risposta alla partecipazione di molte donne alle manifestazioni con cui si chiedeva l’assunzione di responsabilità per la morte di Mahsa Jina Amini e la fine delle violenze e delle discriminazioni di genere in Iran, con particolare riferimento all’utilizzo del velo.

Già nel marzo 2023, il Parlamento europeo si è esposto sulla questione, decretando quello che ancora molti sembrano far fatica a confermare e condannando “questo efferato tentativo di mettere a tacere donne e ragazze”. 

Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha chiesto un’indagine limpida sugli avvelenamenti, che porti all’identificazione di responsabili concreti, chiamati a rispondere del reato.

Anche gli Stati membri dell’Unione sono stati invitati alla collaborazione, agevolando l’ottenimento di visti, velocizzando il conseguimento di diritto d’asilo e sovvenzionando materialmente tutti coloro, soprattutto donne e ragazze, che si trovano costretti, a rischio della propria incolumità, a lasciare il paese.

Oltre a questi, un altro punto affrontato durante il Consiglio di marzo, riguarda il diritto non negoziabile delle donne alla propria istruzione e la responsabilità della Repubblica islamica iraniana di garantire questo diritto a tutte le fasce d’età, senza boicottamenti.

Ciò che diamo per scontato quotidianamente, l’annoiarsi a lezione e il lamentarsi per il troppo carico di studio, per le donne iraniane potrebbe rappresentare, se non la felicità, almeno la libertà di scelta su un futuro che dovrebbe loro appartenere, e in cui, invece, non sanno più neanche se riusciranno a respirare.

Stefania Malerba

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Stefania Malerba

Sono Stefania e ho poche altre certezze. Mi piace l’aria che si respira al mare, il vento sulla faccia, perdermi in strade conosciute e cambiare spesso idea. Nel tempo libero imbratto fogli di carta, con parole e macchie variopinte, e guardo molto il cielo.
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