Natura & Scienze

Il gemello buono e il gemello cattivo delle erbe

di Antonio Liccardo

Rucola, rughetta o ruchetta, ruca o ruga. Chiamiamola come ci pare, tanto parliamo della stessa pianta… oppure no? Vi anticipo io: no.

Quando una pianta infesta, ma con utilità.

Di brassicacee (o crucifere) ve ne sono un bel po’ e tutte con caratteristiche similari, ma le rucole più conosciute, apprezzate e utilizzate sono l’Eruca sativa/vesicatoria, conosciuta come rucola comune, vera o domestica, e la Diplotaxis tenuifoglia, detta rucola selvatica o spontanea.

La rucola comune è docile di aspetto e di sapore: le sue foglie dentellate seguono un perimetro più curvo, il fiore che spunta alla fine della crescita è di un bianco latteo, in bocca la piccantezza si fa sentire, ma con gentilezza.
Quella selvatica è il gemello cattivo della famiglia: foglie aguzze, fiore giallo cangiante, e picca come un peperoncino.

Essendo di genere diverso, le due rucole sopracitate hanno ovviamente caratteristiche botaniche differenti: quella vera, la sorella buona e cara, è “annuale”, quindi di crescita rapida e per questo spesso preferita dai coltivatori per la resa quasi immediata – oltre al fatto che la coltivazione è più gestibile grazie a semi più grossi e visibili e posizionabili secondo criteri di coltivazione stabiliti; la rucola spontanea è la pestifera del duo: i suoi semi piccoli quanto la polvere raggiungono facilmente ogni anfratto orticolo e se non se ne ha cura colonizza la scena e non la lascia più, diventando di fatto una malerba.

Ma se Ralph Waldo Emerson amava affermare che “l’erbaccia è una pianta di cui non sono state ancora scoperte le virtù”, della rucola si sa tutto già dai tempi della Res Publica: proprietà digestive (aumenta la secrezione dei succhi gastrici), depurative (come gran parte delle erbe amare, aiuta a ripulire il fegato), protettive (contiene prostaglandine che abbassano l’acidità di stomaco e rafforzano la mucosa gastrica), curative (l’alta concentrazione di vitamina C aiuta contro i sintomi influenzali; quella di nitrati abbassa la pressione arteriosa). Quindi, caro il mio letterato americano, tanto “erbaccia” non direi.

Non solo è amata nei nostri piatti, per contrastare la dolcezza dei pomodori e della provola sulle pizze più campagnole o ridotta in poltiglia con aglio e pinoli per chi ama un pesto più muscolare del solito – addirittura i semi vengono usati al posto della senape per ricavare lo stesso gusto ma non le stesse calorie – ma è gradita anche nei nostri bicchieri: il “rucolino” è il liquore più gettonato tra chi gradisce pulirsi la bocca e, come capita col finocchietto, lo stomaco. Liquore che è diventato il simbolo dell’isola di Ischia, dove la rucola cresce abbondante e rigogliosa grazie all’aria di mare e le caratteristiche del terreno.

Non tutti hanno a disposizione uno specchio marino sotto casa, ma volendo riprodurre una piccola coltivazione sul proprio balcone e ricavare da questa erba le proprietà che ci piacciono di più, basta seguire queste indicazioni:

  • la ruca comune è meno piccante, quella selvatica lo è di più. In entrambi i casi, la coltivazione è assai semplice. Come abbiamo già detto, la rughetta vera cresce prima, la spontanea fa più capricci ma alla fine si fa valere. Basta scegliere, a seconda dei propri gusti;
  • volendo “dosare” la piccantezza: un terreno più arido, un’esposizione continua al sole e la raccolta delle foglie quando i fiori sono spuntati da tempo rendono il raccolto più speziato. E strappate le foglie lasciando le radici, ché la rucola è sempre pronta a regalarvi un nuovo raccolto se curata a dovere (= acqua abbondante ma senza ristagni);
  • se non vi basta trangugiarla e ve la volete sorseggiare in forma alcolica, prendete una parte di alcol a 95° (es. mezzo litro) e mettete a macerare per 7-10 giorni 50 g circa di foglie di rucola (selvatica se si vuole copiare dai migliori produttori di rucolino) per mezzo litro di alcol. Volendo dare un tocco di eleganza all’intruglio, potete aggiungere vaniglia (1 bacca/500 mL), cannella (1 stecca piccola/500 mL), chiodi di garofano (un paio/500 mL), scorze di arancia e/o limone (50 g/500 mL, senza la parte bianca che rende il sapore amaro); filtrate il tutto e mettete da parte, mentre fate bollire una parte di acqua uguale alla parte di alcol (es. mezzo litro) con dentro 500 g circa di zucchero per ogni mezzo litro di acqua; unite le due soluzioni (che, nell’esempio, vi daranno al netto dell’evaporazione dell’acqua circa 1 litro di rucolino), lasciate raffreddare e riposare per qualche giorno.

Non facciamo, quindi, di tutta l’erba un fascio!

La Redazione

Ciao! Sono la Redazione de La Testata – Testa l’informazione. Quando non sono impegnata a correggere e pubblicare articoli mi piace giocare a freccette con gli amici.
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