Urlo “mi fai schifo”
Era un giorno come un altro e proprio come in ogni giorno tutto era progettato nel dettaglio tra lavoro università e casa.
Era un periodo no per me: non ero certa di voler continuare ciò che qualche anno prima avevo deciso di studiare all’università; ero sempre di corsa, ma non riuscivo a capire verso cosa correvo; mi sentivo come una pesciolina d’acqua dolce chiusa in una boccia di vetro: nuotavo, nuotavo, ma ritornavo sempre al punto di partenza.
Quella domenica decidesti di farmi compagnia, mentre rientravo a casa; dicesti di essere sceso a piedi per fare quattro passi proprio come avevo fatto io… Eppure tu l’auto l’avevi lasciata dove ci eravamo incontrati, l’avevo vista.
“Forse ha bisogno di qualcuno con cui parlare” avevo pensato, ma perché avevi sentito il bisogno di parlare proprio con me non riuscivo a spiegarmelo. Tutto cominciò quel giorno: da allora cominciasti a scrivermi sempre più spesso, cominciasti a chiamarmi ed anche se ti rispondevo dicendo di essere impegnata tu insistevi sempre. Dicevi di volermi aspettare, ma io tremavo al sol pensiero di incontrarti, mi turbavi, mi facevi sentire sporca, anche se non lo ero. Io sporca non lo sono mai stata.
Mi hai visto crescere, mi hai visto giocare, sorridere, cantare, ballare ed io mai avrei immaginato di ritrovarmi ad aver paura di te, di sentire il peso delle tue parole, lo schifo dei tuoi desideri silenti. Il tuo fare sempre spavaldo se dapprima mi faceva sorridere, mi causava ormai conati di vomito; non riuscivo più ad uscire di casa, perché temevo di incontrarti e di sentir ancora una volta i tuoi occhi addosso. Ora ti ho eliminato e a malapena riesco a dirti “ciao”. Vorrei, però, dirti ancora una volta “mi fai schifo” e sappi che continua a farmi schifo il tuo blue jeans, quello che hai indossato quella domenica e che ancora oggi indossi.
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