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La Corea dei Kim: storia di nobiltà e cognomi comprati

Che stiate seguendo o meno i Mondiali in Qatar, vi sarà capitato di ascoltare l’audio del telecronista italiano che ha annunciato la formazione della squadra sudcoreana con una esilarante sequela di «Kim, Kim, Kim, Kim, Kim» conquistando la simpatia del web.

Ma vi siete chiesti come mai gran parte dei giocatori della Corea del Sud – o della popolazione coreana, se è per questo – possiede lo stesso cognome?

Sembra un’esagerazione, ma non lo è. In Corea del Sud esistono a malapena trecento cognomi, un numero particolarmente esiguo se si considera che la popolazione supera attualmente i cinquanta milioni di abitanti.

L’origine che si cela dietro questa particolarità è assai interessante e relativamente recente. Paese di cultura e storia antichissima, l’odierna Repubblica di Corea era un tempo parte dei Tre regni di Corea, unificati nel 668 d. C. sotto il regno di Silla dal sovrano Park Hyeokgeose.

In quegli anni fortemente influenzati dal vicino Impero cinese, i cognomi venivano concessi esclusivamente ai membri dell’aristocrazia e della famiglia reale, di conseguenza erano un privilegio precluso alla popolazione comune.

Con la successiva dinastia Goryeo, tra il X e il XIV secolo, i cognomi iniziarono ad essere concessi dai sovrani agli individui che avevano accumulato molte fortune o prestato un qualche tipo di servizio per la Corona, in modo da garantire il loro inserimento nella cerchia dei funzionari di Stato e, di conseguenza, la loro scalata sociale. 

Non stupisce che già nel successivo regno di Joseon i mercanti cominciarono ad acquistare i cognomi di nobili impoveriti o di famiglie estinte una volta accumulata una discreta somma. 

Nel giro di pochi secoli la falsificazione dei registri genealogici divenne tanto comune che sempre più poveri riuscirono a risalire la china e adottare un nome di famiglia. E di quali cognomi appropriarsi se non di quelli più antichi e stimati?

Quelli che oggi sono i cognomi più diffusi in Corea del Sud – Kim, Lee, Park, Jeong – erano infatti legati a importantissime figure delle dinastie precedenti: fu la dinastia dei Kim, per esempio, a unificare il Paese per la prima volta; Park, “zucca”, erano chiamati i membri del clan del leggendario primo re di Silla, e così via.

Di conseguenza, è chiaro che non tutti i coreani che possiedono un cognome uguale siano imparentati, ma è probabile che i loro antenati a un certo punto abbiano acquistato un cognome o ne abbiano ottenuto uno con l’abolizione della divisione di classe a cavallo tra Ottocento e Novecento, che portò la gente comune ad adottare i nomi delle famiglie proprietarie terriere per cui lavoravano.

Ma allora, come fanno i coreani dai cognomi uguali a sapere se non sono imparentati tra loro? Una domanda legittima, soprattutto se si pensa alla faccenda in un’ottica matrimoniale, ma ai coreani di ultima generazione poco importa se hanno un trisavolo in comune col proprio partner.

Per chi ci tenesse, comunque, c’è una risposta abbastanza semplice. I cognomi sono infatti catalogati in base ai clan e alla loro zona d’origine. Risalendo all’antenato fondatore della famiglia, si può verificare se fosse o meno appartenuto allo stesso clan del partner. Facile, no? 

Claudia Moschetti

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Claudia Moschetti

Claudia Moschetti (Napoli, 1991) è laureata in Filologia Moderna. Ha insegnato italiano a ragazzi stranieri e scritto per un sito universitario. È attualmente recensora presso il blog letterario Il Lettore Medio e redattrice per il magazine La Testata. Dal 2015 al 2021 ha collaborato alla fiera del libro gratuita Ricomincio dai libri, di cui è stata anche organizzatrice.
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