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Aborto in Italia: storia di chi sopperisce alle mancanze dello Stato

In Italia abortire è un diritto (più o meno) garantito, ma disporne può essere complicato. 

Per fortuna, dove lo stato non arriva, ci pensano volontari* e donne in tutta Italia.

In questi ultimi mesi io come molte altre donne mi sono trovata a passare attimi di terrore puro. Improvvisamente il nuovo governo, ironicamente guidato da una donna, sembrava voler eliminare la legge che con tanta fatica era stata conquistata nel ’78: la legge sull’aborto, una legge che, vista ora, mostra i suoi difetti ma che per l’epoca fu un traguardo fondamentale. 

«Non voglio abolire la legge 194», ha dichiarato la premier, ma sicuramente non intende favorirne l’accesso o contribuire al suo miglioramento, nonostante la scienza sia già andata avanti sul tema.

Fortunatamente, dove lo stato non arriva ci sono associazioni di volontari* pront* a pareggiare i conti. 

In occasione del 40 anniversario della legge 194 viene fondata Pro-Choice RICA, la rete di associazioni e singoli che unisce le forze di molte persone per garantire il diritto alla scelta

Ho avuto l’occasione di intervistare Roberta Lazzeri, una delle volontarie, che ha fatto chiarezza in merito ai servizi dell’associazione e ai miei dubbi sull’aborto. Dubbi che erano tanti, a mio stesso discapito, ma di cui non mi ero mai preoccupata…tanto se succede ci sono gli specialisti (o forse no).

L’associazione, che possiede un sito, offre diversi aiuti tra cui un vademecum che fornisce tutte le informazioni pratiche su come muoversi in caso di gravidanza indesiderata:

«In primis necessita un documento certificato IVG, che si può richiede a qualsiasi medico e se non si trova nessuno disponibile si può fare online tramite telemedicina con videochiamata alle ginecologhe di Pro-choice. Tale documento 

attesta la volontà di abortire e va accompagnato ad un test di gravidanza qualsiasi. 

Ultimamente vengono richieste ecografie, ma non è assolutamente necessario, e fa spendere allo Stato in modo inutile. Inoltre tale pratica è punibile amministrativamente» – spiega Roberta.

Durante il colloquio vengono poste domande alle volte scomode o inappropriate, purtroppo previste dalla 194, definite per legge. 

Cose del tipo: Il tuo compagno è a conoscenza della tua scelta? »

Invecchiate malissimo, direi.

Dopodiché viene rilasciata la certificazione che può essere d’urgenza o richiedere 7 giorni d’attesa

« (Il documento) Andrebbe sempre fatto d’urgenza e lo si deve richiedere sempre. La decisione è stata presa e la donna è totalmente in grado di scegliere di ripensarci da sé, senza che le venga imposto. »

A questo punto la Lazzeri introduce il tema dei consultori, strumenti importantissimi e sempre meno conosciuti o fortemente compromessi, come nel caso del Piemonte. 

Si tratta di presidi sanitari del sistema sanitario nazionale, (legge 405/1975), gratuiti dove tutt* possono ottenere consulto su temi di sessualità, relazioni, contraccezioni e sostegno psicologico. Da sempre luoghi di liberta, dove anche i minorenni potevano ottenere sostegno lontani dal giudizio delle famiglie, oggi sono fortemente in pericolo. 

Caso scioccante quello dei consultori Piemontesi dove sono state introdotte associazioni antidiritti, volte a sostenere le donne che rinunciano all’interruzione di gravidanza. 

Dove quel sostenere puzza tanto di incentivare.

«Poche lo sanno ma il consultorio può fissare l’appuntamento in ospedale; altrimenti lo si può richiedere direttamente presso l’ospedale.»

Dunque ci siamo, abbiamo il certificato e l’appuntamento, ma ora cosa mi succederà? 

Per rispondere bisogna guardare alla legislazione italiana. È possibile effettuare un aborto chirurgico (per aspirazione o raschiamento uterino) fino alle 12 settimane e 6 giorni, farmacologico fino alle 9 settimane o ITG (interruzione terapeutica di gravidanza), rivolta a chi abbia superato le 12 settimane.

In molti paesi Europei è possibile accedere al farmacologico fino alla 11 settimana, senza alcun problema ed il tutto si può svolgere tranquillamente tra le mura di casa (trattandosi di una\due pillole). In paesi come la Danimarca e la Francia è addirittura possibile acquistare il farmaco abortivo direttamente in farmacia.

In Italia invece no, noi la facciamo complicata, come sempre. 

L’ex ministro della salute Storace obbligò le donne a un ricovero di due giorni dopo la somministrazione della pillola abortiva, interrompendo così l’innovativa sperimentazione dell’Ru486 guidata da Silvio Vitale a Torino. 

Come detto, anche il limite delle 12.6 settimane è puramente ideologico: lo dimostra il fatto che in caso si superino le 12 settimane e si debba ricorrere all’ITG, sia possibile il chirurgico solo fino alle 14 settimane, poi si passa di nuovo al farmacologico. 

«Si parla solamente di voler mettere il cappello sopra le nostre pance e decidere dei nostri organi interni» – sottolinea giustamente Roberta.

Un’altra iniziativa bellissima portata avanti dall’associazione è il gruppo Telegram di sostegno per le abortenti. 

Nasce per iniziativa di una ragazza che doveva abortire e decide di condividere le sue esperienze prima su Facebook, creando poi un gruppo di sostegno sulla suddetta piattaforma e nel 2020, su Telegram.

«Mi sono interessata e sono voluta entrare. Ora mi occupo di assistere le donne via chat o in chiamata anche quando sono in ospedale. Quando, come a volte accade, vengono abbandonate a loro stesse o semplicemente per tranquillizzarle e aiutarle a capire cosa sta accadendo e quando c’è da preoccuparsi. » – riferisce la Lazzeri.

Per accedere al gruppo è necessario essere persone con utero che hanno abortito o debbano abortire. In tal caso si può scrivere alla mail dell’associazione prochoice.rica@gmail.com o al vecchio gruppo Facebook. 

Il gruppo fornisce poi informazioni su quali siano gli ospedali nelle vicinanze disponibili a effettuare l’IVG. Legalmente ogni ospedale è tenuto a garantire l’interruzione di gravidanza, ma la legge non è mai uguale per tutti.

In Italia la percentuale di medici obiettori di coscienza si attesta tra il 70 e il 90%. Tutta religione? Sembra evidente non sia così. 

«Spesso i medici pur di fare carriera o compiacere il primario si dichiarano obiettori. Altri lo diventano per evitare di ritrovarsi ad occuparsi esclusivamente di aborti. » – spiega la Lazzeri. 

Perché giustamente uno di vedere tumori non si stanca mai, di vagine un po’ di più.

Giovanna Scassellati, l’ex responsabile del reparto IVG del San Camillo di Roma, aggiunge: «In tante università, perché cattoliche, i medici vengono obbligati ad essere obiettori perché si possano iscrivere.»

Tuttavia non disperiamoci, abortire in Italia non è impossibile come lo si vuole far credere. 

Spesso molte ragazze pensano di doversi recare all’estero perché non trovano informazioni chiare sullo stato della situazione degli ospedali nei dintorni e in Italia. 

Inoltre non sempre le zone del Nord e del Centro risultano avvantaggiate in tema di aborti rispetto al Sud. Le percentuali di medici obiettori variano continuamente e non è sempre detto che in Meridione non si possa trovare supporto.

In Puglia ad esempio c’è Ev*, un gruppo WhatsApp statale che permette di ottenere tutte le informazioni fornite da un qualsiasi consultorio, un servizio non offerto in Piemonte. 

Insomma, «L’Italia è Arlecchino» mi dice la Lazzeri.

Se pure si possa abortire in Italia, la possibilità di farlo nel reparto corretto rimane un privilegio di pochi. Tra i labirintici reparti degli ospedali, quello IVG non c’è quasi mai, come se l’aborto non fosse una procedura medica al pari delle altre. 

In molti ospedali chi abortisce si trova nel reparto di ostetricia, magari nel lettino vicino a chi deve partorire. 

Il San Camillo di Roma è uno dei pochi ospedali in Italia a possedere il reparto IVG ed è continuamente messo a rischio o ostacolato.

Tra obiezioni di coscienza e tempistiche ristrette c’è anche chi per abortire è realmente dovuto ricorrere all’estero. 

È il caso di Giulia Bracci, giovane toscana che a 25 anni scopre di essere incinta di 14 settimane. 

«Andai dal ginecologo di mia madre non sapendo fosse obiettore. Mi fece vedere il cuore del feto, mi disse il sesso e si dilungò su come la mia età fosse quella ideale per avere figli e che sarebbe stato consigliabile tenerlo. Ovviamente non risparmiò commenti offensivi e non richiesti sulla mia scelta. Mi diede dell’assassina.»

Non è difficile immaginare come questo possa aver avuto conseguenze sul piano psicologico. 

«Ora ho il terrore di andare a fare una visita ginecologica», mi dice e non la biasimo.

Dopo un po’ di ricerche viene in contatto con l’associazione Pro-Choice che le fornisce tutte le informazioni utili al suo caso. 

«Andai in Spagna per abortire in una clinica privata (Centro Aragon) dove fui seguita e accompagnata in modo impeccabile da tutto il personale.»

 In Spagna però l’aborto non è uno dei servizi mutuati dallo stato e l’operazione le costa 1500€, più ovviamente le spese di viaggio. 

Giulia al termine della chiamata mi invita a passarle il contatto di chiunque io conosca che si trovi nella sua stessa situazione, per poterl* aiutare e indirizzare.

Mi colpisce profondamente la sua fame. 

Fame intesa come bisogno viscerale di sostenere chi stia attraversando la stessa bufera che hai attraversato tu. Un’esigenza profonda che nasce dalla necessità di far capire all’altra parte di non essere sola, quasi come se il dolore provato dalla persona ravvivasse il tuo.

L’aborto non è una passeggiata. 

Anche se personalmente non la si sarebbe vissuta come un’esperienza traumatica, purtroppo lo Stato, il personale obiettore e vari altri agenti esterni possono rendere l’interruzione di gravidanza terribile. L’importante è ricordarsi che non si è da sole in questa battaglia e che per ogni medico che ci sbatterà la porta in faccia, ci sarà un* volontari* pront* a restarci accanto.

Nel mentre si lotta per il raggiungimento della parità. 

Per fare ciò vi è una sola via, citando Roberta:

«I mezzi anticoncezionali ci sono e sono sicuri, certo, ma possono fallire. Non si può parlare di parità dei generi nella razza umana senza aborto.

L’anti-abortismo è un mero discorso politico, aborto c’è sempre stato, è normale. Ciò che va garantito è un aborto libero e sicuro. L’unico modo per farlo è eliminare lo stigma sociale attraverso l’introduzione dell’educazione sessuata nelle scuole. 

Noi donne non siamo considerate esseri umani uguali agli altri: solo con l’aborto possiamo esserlo.»

Credo che la riflessione di Roberta riassuma perfettamente i punti focali della polemica.

L’aborto è sempre esistito. Il 15% delle gravidanze si interrompe da sola. 

Ostacolare o non accompagnare le donne nell’interruzione di gravidanza non le ha mai bloccate e mai le bloccherà dall’intraprendere un’IVG. Magari in modo rischioso per la salute o addirittura per la vita.

Uno stato civile, che professa l’uguaglianza e la parità indipendentemente da genere o etnia, non può permettersi di mettere a repentaglio la vita de* su* cittadin*.

La scienza è già andata avanti, non è ora che lo faccia anche la legge?

Sofia Seghesio

Leggi anche: L’Ungheria e l’aborto: una relazione difficile che continua ad (in)volversi

La Redazione

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