Arte & CulturaPrimo Piano

L’inumana crudeltà di De Sade: leggenda o realtà?

Diciamolo chiaramente: l’uomo è suo malgrado attratto dagli eccessi, siano essi reali, letterari o cinematografici.

Nonostante la paura o la repulsione che possono suscitare, nessuno è immune al fascino dell’abisso nell’ascoltare le crudeltà degli imperatori romani o dei più sagaci serial killer.

Ovviamente nella nostra lista non poteva mancare il Divin Marchese. Ma quanto della sua crudeltà inumana è reale?

Il marchese De Sade è uno di quei personaggi storici a cui bisogna avvicinarsi con una certa cautela. Se si sfiora la sua biografia in maniera superficiale si rimane solo orripilati dai crimini di cui pare essersi macchiato.

Tortura, omicidio, depravazione in ogni sua forma.

Non a caso il termine “sadismo” deve la sua etimologia proprio a questo singolare aristocratico.

Eppure più si scava a fondo nella storia di quest’uomo più ci si accorge che la sua leggenda nera deve molto allo scandalo che suscitava a quei tempi la sua condotta, nella vita e negli amori.

Aderendo totalmente alla corrente del libertinismo più puro come molti degli aristocratici della sua epoca, De Sade si differenziava dagli altri proprio per non tacere nulla delle sue depravazioni, nel pubblico e nel privato.

Ma quali sono i crimini che gli causarono, sommandoli, ben trent’anni della sua vita dietro le sbarre, ora di una prigione, ora di un manicomio?

E qui inizia il primo punto curioso.

Per quanto si indaghi, il nome del marchese non risulta collegato ad alcun delitto. La leggenda che vuole De Sade come i crudeli aguzzini del suo famoso libro “Le 120 giornate di Sodoma” devono scontrarsi con una realtà ben diversa, a dir poco surreale.

Nel 1768 De Sade viene incarcerato per diversi mesi con l’accusa di aver torturato e accoltellato una donna, Rose Keller, una vagabonda che afferma di essere stata tratta in inganno in una camera dietro l’offerta di un lavoro onesto, per poi essere stata seviziata senza pietà e inseguita da un servo con l’ovvio desiderio di ucciderla.

E qui ritroviamo il secondo elemeno che accompagna sempre ogni evento della vita del marchese: il surreale che sfocia talvolta nella parodia.

Questo perché sul corpo della donna non furono trovate tracce della supposta coltellata, ma solo delle frustate che per altro De Sade non aveva mai celato, poiché a suo dire l’offerta di prostituzione era stata chiarita fin dal principio.

E il servo che minacciava di ucciderla avrebbe semplicemente cercato di raggiungerla per pagarla della prestazione ricevuta.

Dove la realtà finisca e inizia la mistificazione non potremo mai saperlo, quello che però rimane è quel retrogusto di assurdo e grottesco che è ben lontano dall’aura di mostro inumano con cui spesso De Sade viene tratteggiato.

Ancora. Tre anni dopo viene condannato a morte per sodomia e avvelenamento nei confronti di tre ragazze che egli avrebbe ricevuto nei suoi alloggi e che avrebbe drogato col chiaro intento di abusarle e ucciderle.

Di nuovo un’accusa tremenda e di nuovo un lungo procedimento giudiziario per fugare quelle terribili accuse.

Eppure se cerchiamo qualche dettaglio in più scopriremo che alle ragazze erano stati offerti dei confetti con la cantaridina, un potentissimo afrodisiaco che però può avere effetti indesiderati per la sua potenza ed ecco che il tremendo mal di stomaco era stato scambiato per avvelenamento.

Ovviamente non vogliamo in questa sede tacere sul temperamento collerico e irritabile di De Sade o giustificare le sue azioni, che comunque comprendono gesti terribili quali l’aver drogato senza permesso delle donne o essere stato molto licenzioso con altre.

Ma ciò su cui vogliamo far riflettere è proprio il fatto che De Sade non celò mai le sue azioni, non le addolcì né per la stampa né per i suoi giudici.

Proprio per questo egli si fece tanti nemici e finì la sua vita in manicomio.

Perchè per quell’epoca, come per la nostra, le turpitudini e le contraddizioni dell’animo umano non possono essere nemmeno scorte in società, figurarsi parlarne e addirittura difenderle.

L’anima del Divin marchese può essere riassunta in queste sue parole:

«Sì, sono un libertino, lo riconosco: ho concepito tutto ciò che si può concepire in questo ambito, ma non ho certamente fatto tutto ciò che ho concepito e non lo farò certamente mai.

Sono un libertino, ma non sono un criminale né un assassino.»

Gabriel Santomartino

Leggi anche: Cabinet of Curiosities, l’antologia (quasi) horror di Guillermo del Toro

Gabriel Santomartino

Classe 97, aspetto di laurearmi in lettere moderne e nel mentre mi nutro di romanzi, racconti e miti come ci si potrebbe nutrire solo di ambrosia. O di una pasta al forno, volete mettere? Appassionato in maniera megalomane di letteratura, fumetti e film col segreto proposito di conoscere un giorno una formula per leggere le emozioni all’interno dell’anima. E di diventare scrittore, ovviamente. Quando le idee sono troppe mi rifugio nella natura, magari con una cioccolata calda.
Back to top button