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Il teatro degli indecenti: tra ilarità e tristezza

Il Teatro degli Indecenti è la nuova opera teatrale della compagnia Hirondelle che ha tenuto la prima lo scorso 17 Giugno al Teatro Don Orione di Ercolano.

Sceneggiata e diretta dalla giovane scrittrice campana Maria Porzio, ispirata dal libro di Philip Roth: Il teatro di Sabbath.

“Noi lasciamo una macchia, lasciamo una traccia, lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme:
non c’è altro mezzo per essere qui.”

Apro il mio articolo, come sempre, utilizzando una citazione, ho scelto questa di Philip Roth sia perché l’autrice stessa della commedia si è ispirata al grande scrittore deceduto pochi anni fa, sia perché – anche è tratta da La macchia umana e non da Il teatro di Sabbat – riassume, a parer mio, perfettamente l’anima dell’opera.

Infatti, il protagonista – l’anziano Mickey Morris Sabbath, burattinaio con la passione per il teatro e le belle donne – decide di ripercorrere la propria esistenza, fatta di perfidie, atrocità e brutalità, per raggiungere attraverso l’opera d’arte l’eternità.

Mickey – recitando “Eternarsi, sopravvivere in eterno, beffare la morte, rimanere in vita. Come? Attraverso l’arte. Come? Attraverso loro” – fa della sua vita un monumento eterno. La scena in cui si ritrova solo con i fantasmi del suo passato, tra cui il suo migliore amico che recita per lui Regina Mab, monologo tratto da Romeo e Giulietta; questi lo tormentano e mettono a nudo le sue fragilità e paure, ossessioni e manie, pulsioni e dolori riportando alla mente il protagonista più dandy della letteratura: Dorian Gray. Non mancano perciò citazioni al panorama letterario, teatrale e artistico italiano e straniero.

Lo possiamo vedere anche con il suicidio della prima fidanzata di Mickey, Nikoleta, che è calato nel dissacrante mondo di un Casinò, a richiamo del canto tredicesimo di Dante, in cui i giocatori d’azzardo sono collocati tra gli scialacquatori, nel secondo girone del settimo cerchio, insieme ai suicidi. Sul palcoscenico, sotto la gonna di un uomo vestito da donna, sta un giocatore seminudo, come nudi erano gli scialacquatori costretti a correre nella selva. E come questi erano inseguiti da nere cagne, a gestire il Casinò in scena sono donne vestite di nero, dalle sembianze ferine.

Grazie agli attori della sua compagnia il regista riproduce il suo passato e le persone che ha conosciuto – amato e odiato – e diventano i suoi burattini: in effetti dominando tutti dall’alto li osserva quasi come un dio creatore del male. Gli attori/burattini mettono in scena una cruda realtà senza veli, fatta di dolore, amore, tradimenti, passione, vizi, il tutto superando qualsiasi confine tra realtà e finzione.

Molto simbolica è la scena dove viene rappresentato il declino della malattia di Drenka, il palco si riempie di fiori, rappresentanti le metastasi che affollano il corpo della donna ormai in fin di vita. Così, nella sua ultima cena, resa in scena attraverso una riproduzione del Cenacolo di Leonardo da Vinci, sul tavolo sono presenti quattro vasi. In ognuno di loro c’è un cuore, raffigurato nelle varie fasi della vita di un uomo: un cuore avvolto dai fiori, per la primavera della maturità; un cuore disseminato di foglie, per le promesse del futuro; un cuore avvolto da rovi, per la minaccia di un inverno incombente; un cuore sepolto tra i sassi, in memoria di una sepoltura prossima a venire.

Trattando tematiche attualissime come la morte per tumore e per overdose, il dolore che si prova alla perdita di un figlio e l’amore in ogni sua sfaccettatura con leggerezza e impegno insieme; attraverso metafore e giochi simbolici, un esempio è la scena in cui sul palco vi è la prima moglie di Mickey che vive una gravidanza difficile, destinata a interrompersi con un aborto, c’è una gomitolo di lana che cade costantemente e che l’attrice in scena cerca di riportare al suo posto, ad altezza ventre sotto l’abito.

Il Teatro degli indecenti mette a nudo l’interiorità, tutti i pensieri di un uomo – quelli più nascosti e celati, rudi e spietati, senza inibizioni e paura – che comunica agli spettatori la sua fragilità con una sincerità cruda, come un coltello che squarcia la coscienza umana suggellando l’immoralità che riceve applausi.

Complimenti alla regista Maria Porzio che con una penna finissima è riuscita a commuoverci, divertirci e soprattutto farci riflettere con un sorriso amaro e struggente.

Complimenti agli attori che hanno interpretato i protagonisti eccellentemente: Attilio Accardo, Sonia Ciaramella, Luigi Cozzolino, Salvatore Ferro, Alessanta Gaglione, Marco Gallo, Paolo Leveque, Michele Lombardi, Lucia Oione, Maria Paparone, Giuseppe Piro, Tonya Porzio, Alessia Santelia, Danilo Antonio Voccia.

Federica Auricchio

Foto di Cristina Salerno e Andrea Langella

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Federica Auricchio

Sono Federica Auricchio e mi definisco Napoletana dalla nascita, perché nel mio sangue ribollono la musica, la poesia, la bellezza, il comunismo e la felicità. Filologa da un paio di anni combatto le discriminazioni sociali con il sorriso e la penna, amo seminare in campi incolti perché è bello, poi, veder germogliare fiori rari.
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