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Troy – la caduta di Troia su Netflix

Se pensate di aver già sentito questo titolo e state già immaginando Orlando Bloom e Brad Pitt nelle vesti di antichi guerrieri, mettete un freno alla vostra immaginazione, perché vi state sbagliando.

Troy è la nuova serie Netflix sulla fine di Troia. 

In effetti, bisogna ammettere che il titolo non è la scelta più felice dal momento che un Troy esiste già e tratta lo stesso, identico tema: la caduta di Troia per mano degli Achei. Eppure la serie, creata dalla BBC e scritta da David Farr, Nancy Harris, Mika Watkins, e Joe Barton, è un prodotto più letterariamente fedele, seppure non proprio filologicamente accurato, dell’omonimo film del 2004. 

Troy, uscita nel 2018 nel Regno Unito, nelle sue otto, corposissime puntate sviluppa dettagliatamente i 10 lunghi anni della guerra di Troia: dall’infelice incontro tra Paride e la dea Afrodite, cui viene assegnato il pomo della discordia, fino alla presa di Troia, capitolata davanti ad uno dei meglio riusciti inganni di Odisseo.  

Nel mezzo, l’amore peccaminoso e rovinoso tra il giovane Paride (Louis Hunter) e Elena (Bella Dayne), la furibonda ira di Menelao (Jonas Armstrong), marito tradito e abbandonato, la cieca follia di Agamennone (Johnny Harris) che sparge il sangue innocente di sua figlia Ifigenia per ragioni solo ed esclusivamente politiche; le apprensioni, le sofferenze, i sacrifici, le perdite che una guerra straziante e logorante come quella di Troia inevitabilmente produce.

Tutto raccontato da un unico e chiaro punto di vista: quello troiano, quello degli assediati e degli sconfitti. È il punto di vista degli asiatici attaccati e soffocati dalla potenza greca, dall’Occidente che appare molto meno fulgido ed evoluto di quanto in realtà sia. È il punto di vista di un popolo, quello troiano, che resiste strenuamente, che non cede difronte ad un nemico più forte pur di conservare la propria libertà.  

Nonostante sia difficile condensare in poco più di due ore di film ciò che invece è possibile sviluppare nelle otto puntate di una miniserie, ciò che emerge nella serie Netflix che invece manca inspiegabilmente del tutto nel film Troy, è l’influenza massiccia e determinante della componente mistico- religiosa

Il mondo greco/troiano è un mondo in cui non si combattono guerre e non si stipulano paci se le divinità non sono propizie, in cui si abbandonano o si sopprimono figli se gli oracoli hanno dato un responso negativo. È quella cultura in cui una pestilenza è frutto dell’ira divina, in cui un sacrilegio può costare caro, in cui una vita intera può essere segnata da una colpa nei confronti degli dei. 

Ebbene Troy tiene conto di tutto questo: continuamente nelle sorti di Troia, di Priamo (David Threlfall) e dell’intera famiglia regnante giocano un ruolo, talvolta determinante, oracoli e divinità, pronostici e maledizioni, visioni e vaticini.

Altra peculiarità della serie, non sempre comprensibile onestamente, è la scelta di attori neri per ruoli chiave come quello del biondissimo Achille, interpretato dall’attore di origini ghanesi David Gyasi, di Patroclo interpretato da Lemogang Tsipa, di Enea (Alfred Enoch) o di Zeus (Hakeem Kae-Kazim). 

Le scelte, che in alcuni casi sono storicamente discutibili, sono chiaramente libere licenze degli autori che vogliono così dare un segnale e una risposta alla carenza di una componente nera nei cast cinematografici, carenza che già da qualche anno suscita non poche polemiche e proteste.

La serie, dunque, nel complesso si presenta godibile, solo raramente lenta, e, fatte rare eccezioni, fedele al racconto. Unica pecca è il solito vizio, tipico di ogni produzione britannica o americana, di eccedere nello splatter e nelle gratuite scene di sesso. Se è vero che la violenza è funzionale al racconto di una guerra e le scene di sesso smorzano una tensione che sarebbe altrimenti costante, forse andava risparmiato qualche litro di sangue e magari il black-thresome consenziente tra Achille-Patroclo- Briseide evitato poichè non proprio realistico in un rapporto guerriero- prigioniera di guerra.

Valentina Siano 

Vedi anche: I Mirmidoni: le formiche di Achille

Valentina Siano

Valentina Siano, classe ’88, professoressa per amore, filologa per caso. Amo la scrittura come si amano quelle cose che ti riescono al primo colpo, non sapresti dire bene come. Scrivo di cultura e spettacolo perché amo il cotone verde del mio divano e il velluto rosso dei sediolini dei teatri. Leggo classici, divoro serie, colleziono sottobicchieri. Sono solo all’inizio della mia scalata alla rubrica gossip di Vanity Fair.
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