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I dolori del giovane Werther… o del giovane Goethe?

Romanzo epistolare di successo e scalpore mai scemati. Goethe riversa tutto sé stesso in un’opera a tratti autobiografica. 

«Invano tendo le braccia verso di lei al mattino, quando mi desto da sogni opprimenti; invano la cerco nel mio letto la notte, se un beato innocente sogno m’ha illuso, quasi ch’io fossi accanto a lei sul prato e le tenessi la mano e la coprissi di mille baci. Ah, se allora, ancora nel vortice del sonno, brancolo verso di lei, e così mi sveglio, un fiume di lacrime mi prorompe dal cuore angustiato, e sconsolato piango il mio buio futuro.»

Johann W. Goethe, I dolori del giovane Werther, 1774

Romanzo epistolare d’un amore struggente tra il giovane Werther e la bella ma quasi sposata Lotte, quest’opera di Goethe, scrittore per eccellenza della corrente dello Sturm und Drang, ha avuto un successo innegabile che dura tutt’oggi, rendendolo un capolavoro eterno e immortale. 

Ma cosa si nasconde dietro questo romanzo che tutto è tranne che il frutto dell’immaginazione di Goethe? Com’è nata quest’opera?

Goethe, semplicemente, ha parlato di sé stesso e del suo cuore. In questo scambio di lettere tra Werther e un suo amico di penna, infatti, non viene solamente raccontata la storia dell’amore straziante che Werther prova per la giovane e bella Lotte, che è fidanzata con un altro uomo e sta per sposarsi. Qui, quello che Goethe sta raccontando è proprio il suo amore per Charlotte Buff, giovane donna che incontra a Wetzlar – dove Goethe, ventitreenne, viene mandato dal padre – e della quale si innamora perdutamente. Peccato, però, che la bella Charlotte Buff sia fidanzata e stia per sposarsi con un altro uomo. 

Anche nell’opera, così come nella realtà, Lotte prova una forte attrazione per Werther ma, nel momento in cui il corteggiamento di Werther diviene insostenibilmente imbarazzante per lei e per il suo futuro matrimonio, gli fa capire che il loro rapporto non può continuare. 

Ed è qui che la storia su carta prende una piega diversa rispetto a quella reale. Nella storia reale, infatti, Goethe, dopo aver ricevuto il proverbiale “due di picche”, capisce che non ha senso continuare a corteggiare Charlotte e decide di tornare a Francoforte da dove era venuto. Lì, dopo qualche tempo, riceve la terribile notizia del suicidio di un suo caro amico a Wetzlar, che ha deciso di togliersi la vita perché innamorato – e non ricambiato – di una donna sposata.

È quest’evento drammatico che fa accendere la lampadina ingegnosa nella mente di Goethe che, subito, si mette all’opera e scrive di sé stesso e del suo amore, preoccupandosi di cambiare solo il suo nome in Werther, mentre quello di Charlotte resta uguale, anche se più spesso viene presentata col nome di Lotte. Nella conclusione, come già detto, le due strade si dividono e Goethe decide che Werther debba andare incontro allo stesso destino a cui è andato incontro il suo caro amico: gli mette tra le mani la rivoltella del marito di Lotte e… si spara, diventando il martire dell’amore, forse secondo solo alla tragica storia di Romeo e Giulietta. 

La eco di quest’opera è stata vastissima e, insieme al successo, non sono mancati gli scandali. L’opera, infatti, fu condannata dal clero e dall’aristocrazia, nonché vietata in molti Stati a causa del delirio amoroso che instillava nella mente di chi la leggesse.

Il suo impatto sulle menti fu talmente forte che si arrivò persino a parlare di febbre del Werther o, più comunemente, di effetto Werther, secondo cui molti giovani che leggevano l’opera cominciavano a vestirsi come Werther (in giacca azzurra e pantaloni gialli) e non pochi furono gli episodi di suicidi che si registrarono in Germania, ma anche in altri Stati europei, in seguito a quello che sembrerebbe essere un vero e proprio lavaggio del cervello che quest’opera ha eseguito sui giovani ragazzi. 

Oltre a questo elemento drammatico e a tratti grottesco, l’opera di Goethe è magistrale anche per la fedeltà con cui risponde ai canoni dello Sturm und Drang: 

  • culto della natura, abilmente inserito nei momenti di riflessione di Werther durante i quali il giovane si perdeva ad osservare la natura e il paesaggio del luogo in cui si trovava;
  • culto dei sentimenti, essendo questo un romanzo totalmente incentrato sui sentimenti, ruotando attorno ad essi e rendendo perfettamente l’idea di quanto i sentimenti, secondo questa corrente, fossero fondamentali e vitali per gli uomini;
  • critica della società del ‘700 nella quale artisti come Goethe erano enormemente limitati nella loro libertà d’espressione e, di conseguenza, in quest’opera si articola tutto un sistema di critica verso i valori rigidi e ormai bigotti della classe borghese che si interessava degli sfarzi e delle apparenze, ma mai della vita vera, vissuta appieno.

È, quindi, un’opera che prende a trecentosessanta gradi tutto un secolo, tutta una serie di concetti e culti e, come se non bastasse, al suo interno noi lettori osserviamo, estasiati, il dispiegarsi del cuore di Goethe stesso, che nulla fa per nascondercelo. Quasi come se volesse renderci partecipi delle sue pene d’amore e farci assorbire la sua convinzione dell’essenzialità dei sentimenti. I sentimenti, in sostanza, sono tutto e anche le pene d’amore rientrano in quest’infinita categoria umana. 

Anna Illiano

In copertina: Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Public domain, via Wikimedia Commons

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Anna Illiano

Anna Illiano (Napoli, 1998) è laureata in Lingue e Letterature euroamericane e si sta specializzando in editoria e giornalismo presso La Sapienza di Roma. Ha un blog personale “Il Giornale Libero” ed è articolista per il magazine La Testata. Dal 2021 collabora occasionalmente col giornale “il Post Scriptum”
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