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What the f… are you talking about? Guida al misterioso lessico digitale

Odio usare termini inglesi quando l’italiano ne offre tranquillamente un corrispondente altrettanto se non addirittura più efficace.

Eppure c’è da ammettere che nell’era digitale, ma soprattutto nella dimensione digitale l’inglese è sicuramente la lingua madre, la lingua nativa di questa giungla chiamata web. 

Non bisogna essere dei boomer (altra definizione odiosa e non poco offensiva) o delle mummie rimaste alla rumorosissima connessione degli anni ’90 per non comprendere buona parte del lessico o degli acronimi riempiono siti web, pagine, blog o post.  

È ovvio che se vi è oscuro il significato delle stesse parole blog o post, forse non è il caso di leggere oltre questo articolo. Ma se partiamo da una buona base di conoscenza del mondo digitale, se bazzicate spesso e volentieri sui principali social, se masticate un minimo di digitalese, questo articolo vi chiarirà il senso di alcuni dei termini o degli acronimi più diffusi e più utilizzati sul web

Confesso: questo articolo nasce da quel profondo imbarazzo che nasce in me ogni volta che incappo in qualche termine nuovo, a me sconosciuto, che però gli altri usano con quella disinvoltura di chi sta dicendo qualcosa di noto ai più, ovvio, quasi lapalissiano. Se provate questo stesso imbarazzo, sappiate che vi sono vicina e per questo cerco di venire in vostro soccorso con questo piccolo glossario di parole strane, di quella schiera mostruosa di parti della lingua del nuovo millennio che ci sembrano oscuri e invece sono solo inutili.  

Swipe up: significa semplicemente “scorrere in alto” ed è l’azione da compiere, quando ci si trova davanti ad una instagram stories, per accedere ad un link. Instagram è ormai da qualche anno luogo eletto per le marchette, le pubblicità di qualunque prodotto, quindi, chi ha dai 10000 followers in su ha accesso a questa funzione, lo swipe up appunto, che consente di creare un accesso diretto, tramite link, a qualunque sito o pagina. 

Link in bio: per gli sconosciuti, i poveri utenti di Instagram sprovvisti di un numero adeguato di follower l’unica strada per pubblicizzare qualche contenuto è il link in bioInstagram, infatti, al di sotto dei 10000 follower non sblocca la funziona swipe up: per ovviare a questa restrizione, l’utente di Instagram che vuole pubblicizzare un qualunque contenuto può inserirne il link nella sua bio modificando il proprio profilo alla voce sito web

Ad o adv: si tratta di abbreviazioni per advertising. In questo caso l’utente ci sta informando che il post pubblicato contiene un messaggio promozionale. Dopo anni di pubblicità occulta e chiaramente illegale su Instagram, il mondo dei social si è dovuto adeguare: sono comparse quindi le voci adadv o anche supplied by, che indica che il prodotto in questione è stato offerto in cambio di visibilità, ad avvertire che i contenuti proposti sono in realtà consigli d’acquisto e non innocenti scorci della propria vita privata.  

Clickbait: significa letteralmente “esca da clic” o anche più semplicemente “acchiappaclic”. Si tratta di contenuti, solitamente beceri o addirittura fake, che hanno come solo obiettivo quello di attrarre clic e visualizzazioni. Solitamente contengono inserti pubblicitari che fruttano entrate economiche ed è questo il motivo per cui cercano in ogni modo di attrarre utenti e portarli a visualizzare il contenuto.  

Newsletter: in italiano sarebbe un bollettino. Si tratta di aggiornamenti informativi periodici inviati da aziende, enti o società a utenti, follower, clienti o membri della community.  

FOMO: si tratta di un acronimo che abbrevia l’espressione Fear Of Missing Out, ovvero la paura di essere tagliati fuori. È un po’ la malattia del nostro secolo, quella stessa sensazione che ho provato quando ho sentito per la prima volta l’espressione FOMO e mi sono sentita tagliata fuori proprio perché non ne conoscevo il significato per altri evidentemente ovvio.  

Cookie: letteralmente “biscotto”, deriva da magic cookie (biscotto magico) una tecnica utilizzata dai siti web per ottenere meccanismi di identificazione di un utente, ad acquisire informazioni o abitudine per poter customizzare i contenuti da proporre allo stesso utente.   

Si tratta davvero di un granello nel mare magnum del lessico digitale ma spero che l’articolo abbia dissipato almeno un po’ la nebbia che avvolge il complicato mondo delle comunicazioni.  

Valentina Siano

Vedi anche: Lost in translation: gli idioms inglesi e l’arte dell’intraducibilità

Valentina Siano

Valentina Siano, classe ’88, professoressa per amore, filologa per caso. Amo la scrittura come si amano quelle cose che ti riescono al primo colpo, non sapresti dire bene come. Scrivo di cultura e spettacolo perché amo il cotone verde del mio divano e il velluto rosso dei sediolini dei teatri. Leggo classici, divoro serie, colleziono sottobicchieri. Sono solo all’inizio della mia scalata alla rubrica gossip di Vanity Fair.

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