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Demisessualità: una vita a metà tra emozione e desiderio

Si eccita per un autore preferito in comune, l’intimità di una confessione, il guizzo di uno sguardo. Non conosce la formula chimica dell’amore a prima vista, quella scarica di dopamina che un’attrazione sessuale fulminante solitamente innesca, è allergico al porno e i rapporti occasionali lo inibiscono.

Bizzarro? No, demisessuale.

Il termine è stato coniato nel 2006 dall’Asexual Visibility & Education Network (AVEN), forum in cui un utente ha accuratamente descritto la sua esperienza personale etichettandola come “demisessuale” (dal francese “demi” che significa “metà”) poiché in una zona grigia dello spettro sessuale al limite con l’asessualità pura, ma non troppo distante dalla sessualità tout court.

Funziona così: la sintonia emotiva diventa prerequisito dell’attrazione fisica poiché non c’è impulso erotico senza un coinvolgimento mentale profondo.

Il termine ha spopolato tra quanti – e son tanti – si sono riconosciuti nella stessa narrazione, finendo così per dare un cognome a quella folta schiera di “weirdo” e “freak” così irrisolti e inibiti, tormentati da un’identità apparentemente rotta, troppo peculiare per calzare a pennello in qualsiasi etichetta già conosciuta.

Quante volte gli aneddoti spinti di una scappatella hanno finito per procurare disgusto piuttosto che divertire? Quante volte si è finto interesse per l’altro sesso per conformarsi al sentire comune e alle mode adolescenziali?

Il termine demisessualità è riuscito finalmente a battezzare quei senza nome che fanno esperienza di un’attrazione sessuale secondaria, in controtendenza rispetto alla folgorazione immediata legata a particolari meramente estetici, al sex appeal a cui la contemporaneità ci ha educati. Non contano i vestiti, il lineamenti del viso o la generosità delle curve: quanto più si riesce a penetrare la mente dell’altro e a intensificarne l’interazione – in una sfumatura romantica o platonica – tanto più l’intesa carnale prende corpo.

Subentrando solo in un momento successivo e attraversando le prove del tempo e delle emozioni, l’impulso fisico di un demisessuale, così tardivo e ragionato, svilisce quindi la carica erotica del porno (perché mai dovrebbe eccitare la visione di corpi estranei che si cercano?), vanifica gli ammiccamenti provocatori di una pubblicità d’intimo e banalizza l’algido appagamento che un “friend with benefits” può offrire.

Se tutti fossero demisessuali, per assurdo, il porno non venderebbe più e i media non avrebbero più bisogno di erotizzare corpi e oggetti, poiché le fantasie non sarebbero mai di natura fisica. Non stiamo parlando dunque di un semplice orientamento sessuale, ma di una modalità tutta particolare di vivere il desiderio e la fisicità.

Chi si riconosce in questa definizione spesso fatica a concepire il sesso occasionale come una scelta sana, associandola al presunto squilibrio psicologico di chi lo predilige e ad un’anomalia commessa in piena libertà e con troppa leggerezza, violando i vincoli di una relazione canonica. Concedersi ad un corpo di passaggio è un’eventualità troppo insidiosa, difficile per un demisessuale da considerarsi moralmente giusta ed emotivamente sicura.

Spesso richiede un lavorio mentale importante accettare che i rapporti sessuali casuali possano essere vissuti in totale serenità e piena coscienza, garantendo quell’appagamento fisico così disperatamente inseguito dai più, senza il minimo investimento emotivo delle parti coinvolte. Cosa comprensibile se si pensa che la maggior parte dei demisessuali lotta con l’incubo di un’intimità prematura e di un contatto ravvicinato indesiderato durante una conoscenza, convivendo con il desiderio di uno spazio personale illeso, di quel vuoto accanto lasciato intatto in un letto immacolato.

Persiste la sensazione di essere deviati, di non riconoscersi in quella voglia smodata di cercare ostinatamente, di toccare e consumare voracemente. C’è la consapevolezza di non avere una carica sessuale pari a quella del resto della popolazione mondiale e di sentirsi sessualmente attivi in rare occasioni e con pochissimi eletti in grado di fiutare intelligenza, sensibilità e altri attributi ineffabili al tatto.

Ma l’idea di potersi finalmente identificare in una definizione dal valore pseudoscientifico e condivisa da tanti, fa sciogliere quella tensione sedimentata da anni di pressioni da parte di famiglia e amici, quelle stesse pressioni che hanno spinto molti ad essere la versione farlocca di se stessi. E per quanto possa risultare l’ennesima etichetta a complicare il discorso sulla sessualità – già così intricato e denso di sottocategorie – o il termine astruso nuovo di zecca ad aggiungersi alla schiera di queer, gender fluid, pansessuale e cisgender, la demisessualità è una new entry lessicale necessaria che esprime il diritto di ogni “deviazione” dalla norma di essere rappresentata anche linguisticamente.

Perché il linguaggio ci aiuta a dare una forma alle nostre esperienze e perché tutti meritano di essere visti, compresi e riconosciuti, soprattutto nella bellezza della loro diversità.

Francesca Eboli

Vedi anche: Il sesso è bello perché è vario

Francesca Eboli

Spirito irrequieto made in Naplulè che colleziona fissazioni dal 1995: andare a cinema e a teatro da sola, scovare boutique vintage invisibili e bazzicare posticini senza tempo. Laureata in lingue, scrive, recita e nel tempo libero vaga tra i quattro angoli del mondo con Partenope in tasca. Vietato chiederle cosa vuole fare da grande.

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