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Nel nome dell’arte – Storia dei nomi delle avanguardie artistiche

Nel nome c’è già tutto: la storia di chi l’ha scelto, e un indizio su chi, quel nome, l’ha avuto.

Il primo dato sulla carta d’identità, la prima cosa che diciamo introducendoci a qualcuno, il biglietto da visita prima del biglietto da visita, spesso si sottovaluta l’importanza di essere il nome che si porta, e invece quella manciata di sillabe che diamo per scontate possono valere quanto un’intera presentazione.

Anche per i movimenti artistici è la stessa cosa, specialmente quelli d’avanguardia che si sono susseguiti durante il XX secolo in un nugolo di -ismi, acronimi, manifesti e parole strane come Dada. Le storie dietro ognuno dei nomi di questi movimenti, per quanto spesso arbitrarie, sono assai rivelatrici della storia dei loro membri, e delle missioni che di volta in volta sentivano di dover portare a compimento. In ordine cronologico, ecco le storie dietro i nomi di alcuni tra i movimenti più importanti della storia dell’arte recente:

Preraffaelliti – 1848

Nonostante il nome chiamasse in causa il Maestro del Rinascimento italiano, in realtà il movimento che designava poco voleva avere a che fare con lui. I fondatori Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais e William Holmar Hunt ricercavano infatti quell’estetica predominante prima dell’epoca di Raffaello, nel tardo Medioevo ed il primo Rinascimento, momenti della storia dell’arte che la conservatrice Academy of Royal Arts considerava ormai “primitivi”. Il gruppo (o la Fratellanza, come preferiva chiamarsi) crebbe fino ad includere sette membri, i cui estrosi dipinti pieni di riferimenti alla natura, al simbolismo, alla luce, erano spesso firmati “PRB”, Pre Raphaelite Brotherood: l’identità dei singoli attori era tutta ricompresa nell’identità del movimento stesso.

Impressionismo – 1874

Il 15 aprile 1874, un gruppo di artisti di Parigi che si faceva chiamare Société Anonyme des Artistes, fece ciò che nessuno dei loro colleghi francesi aveva mai osato fare: sfidò il Salon Ufficiale nel quale venivano esposti i dipinti scelti dalla Société des Artistes Français, e lanciò la propria esposizione, il Salon des Refusés. Tenuta in uno studio del Boulevard des Capucines, per quattro settimane la mostra ospitò i lavori di 30 artisti “rifiutati”, tra cui la tela Impression, Sunrise di Claude Monet. Luis Leroy, critico d’arte per la rivista Le Charivari, si prese gioco del dipinto e dell’intera esposizione in un suo sarcastico articolo, definendo gli artisti del Salòn “impressionisti”, e cioè incapaci di riprodurre nient’altro se non impressioni del mondo circostante. Nonostante il chiaro tono negativo del commento, ciò che Leroy aveva descritto era proprio l’obiettivo del movimento: la riproduzione imperfetta e fugace di un momento ripreso dal vero – per l’appunto, un’impressione. Il gruppo adottò ufficialmente il nome per la sua terza mostra, nel 1877… Con buona pace del sarcastico Leroy!

Der Blaue Reiter – 1904

Il nome del movimento artistico Der Blaue Reiter – e cioè “Il Cavaliere Blu” -, fu coniato a Monaco, estendendolo dal titolo di un dipinto del 1903 di uno dei suoi co-fondatori, l’emigrante russo Wassily Kandinsky. In questo dipinto ancora ampiamente figurativo, un cavaliere avvolto in una cappa blu attraversa un campo in groppa ad un cavallo bianco. Il gruppo non raggiunse la fama se non una decina di anni dopo, quando ormai lo stile di Kandinsky era radicalmente cambiato, virando verso il tentativo, ormai non più figurativo, di riportare i ritmi musicali sulla tela. A quel punto, per Kandinsky e per i suoi compagni (tra cui Paul Klee, Franz Marc ed Auguste Macke), anche il nome del gruppo assunse un significato metaforico: il blu era infatti da loro visto come un colore simbolo della spiritualità, e la figura del cavaliere al galoppo venne accostata al viaggio dalla terrestrialità figurativa alla pura, divina astrazione. E non è forse un caso, allora, che tanti dei dipinti di questo particolare gruppo di artisti rappresentassero proprio… Cavalli blu!

Fauvismo – 1905

Ancora una volta in Francia, è ancora una volta un critico a suggerire inconsapevolmente un nome che entrerà nella storia dell’arte.

Prima che il cubismo scombinasse definitivamente il realismo dell’oggetto pittato, c’avevano pensato già in parte questi artisti nei primi anni del ‘900, capitanati da Henri Matisse, a giocare con le regole della rappresentazione inserendo all’interno di paesaggi ritratti dal vero i loro colori vividi, intensi, “sbagliati”, con le loro pennellate dure e aggressive. La loro prima mostra si tenne al Solon D’Automne, dove le loro opere furono disposte attorno ad un busto simil-rinascimentale posto al centro della stanza. Il giudizio dei critici d’arte presenti fu tutto rappreso nel commento indignato di Louis Vauxcelles: Donatello parmi les fauves, ovvero “Un Donatello in mezzo alle bestie”. Nell’ottica del “bene o male, basta che se ne parli”, Matisse ed i suoi compagni non si ritennero offesi dal commento, ma bensì abbracciarono il concetto, direzionando la loro furia “da belve” sulle loro tele – incidentalmente, Louis Vauxcelles suggerì il nome anche al movimento del Cubismo, quando, criticando una tela di Braque, scrisse che era una bizzarries cubique, una bizzarria cubica.

Dadaismo – 1916

La maggior parte delle storie dei nomi dei movimenti artistici è piuttosto chiara e documentata, ma non così è per il movimento Dada… ma forse è proprio questo il punto! Dada scelse di abbracciare l’assurdo, il nonsense, il ridicolo, l’irriverenza del fare arte. I suoi membri, tra cui Marcel Duchamp, Tristan Tzara e Hans Harp, iniziarono con l’idea di creare anti-arte, come una reazione al clima della Prima Guerra Mondiale ed alla borghesia che l’aveva generata. Nel 1916, il movimento indisse il suo primo meeting al Cabaret Voltaire di Parigi, e qui le storie sulla scelta del nome da adottare sono tante: c’è chi dice che il poeta tedesco Richard Huelsenbeck trafisse un dizionario francese con un coltello, e la punta si sia fermata proprio sulla parola “dada”; chi invece suggerisce che sia stato scelto per la sua capacità di avere significato in alcune lingue (in russo, per esempio, si traduce in “sìsì”), e assolutamente nessun senso in altre, fino ad essere accostato alle prime sillabe che un bambino riesce a mettere insieme. Qualunque sia la storia dietro questa scelta, Dada sembra ad oggi il nome perfetto per un movimento pieno di accostamenti infantili, col suo respiro internazionale e la sua pretesa di non avere assolutamente senso.

Bauhaus – 1919

Dopo la distruzione, la ricostruzione. Ciò che era successo durante la Prima Guerra Mondiale aveva lasciato una Germania stranita, disfatta e senza punti di riferimento. Ciò che serviva, anche nell’arte, era un movimento che significasse coesione, concretezza, realtà. Ci pensò Walter Gropious quando pensò, per la sua scuola di Arte e Design, al nome Bauhaus: un’unione delle parole bauen e haus, traducibili con “casa delle costruzioni”. La scuola di Gropiuos riuscì nel suo intento di ricostruire l’arte tedesca attraverso l’abbattimento di quelle barriere che si ergevano tra le arti applicate e le belle arti, creando di fatto non solo un’accademia, ma un vero e proprio movimento artistico di riforma e coesione a cui aderirono nel tempo, tra gli altri, anche Wassily Kandinsky, Paul Klee e Joseph Albers.

Marzia Figliolia

Vedi anche: Il mio miglior nemico: la rivalità nel mondo dell’arte

Marzia Figliolia

Ci sono tre categorie di persone che rischiano di finire sotto una macchina ad ogni incrocio: i distratti; quelli che hanno una melodia in testa e la testa tra le nuvole; quelli che pensano a cosa scrivere nella propria bio quando arriveranno a casa. Io appartengo a tutte e tre le categorie.

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