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Ecofemminismo oppure il legame tra la lotta ambientale e quella di genere

Con il termine ecofemminismo si intende una corrente del femminismo che si sviluppa tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, per la fusione di tre movimenti diversi quello femminista, pacifista e ambientalista.

L’ecofemmismo associa due lotte che sembrano apparentemente molto diverse, quella femminista e ambientalista, ma in realtà sussistono significative analogie tra la condizione della donna e della natura.

Il legame tra donna e natura è millenario, infatti da sempre la donna viene associata alla Grande Madre, simbolo della fecondità, prosperità e della longevità.

Si tratta quindi di un legame ancestrale, e che ha sempre visto la donna vincolata alla natura, di cui era madre e nella quale rivestiva un ruolo fondamentale alla sua sussistenza, è da questa considerazione infatti che si sviluppa l’immagine della donna come garante della cura e della procreazione.

L’ecofemminismo sostiene che l’ideologia alla base dell’oppressione che si attua sull’essere umano in base alla razza, alla classe sociale, al genere, alla sessualità e alla specie, sia la stessa esercitata sulla natura. Questa logica di dominio si ripresenta identica in vari ambiti, tanto da giustificare l’ascesa di altri movimenti progressisti oltre al femminismo quali quello ambientalista, pacifista, animalista e antinucleare. Inoltre, tale logica trova la propria giustificazione nel sistema oppressivo capitalista e patriarcale che permea ogni ambito della realtà in cui agiamo, che è lo stesso sistema gerarchico che giustifica la dominazione dell’essere umano sull’ambiente e che relega la donna alla funzione di angelo del focolare dove la propria individualità è subordinata alle proprie funzioni socialmente delineate, che la concepiscono solo come nutrice, madre e moglie.

La volontà di dominio che l’uomo esercita sulla natura progressivamente uccide la vita nel pianeta, incorrendo in problematiche come surriscaldamento globale e inquinamento. Allo stesso modo, la stessa volontà di dominio viene esercitato sul corpo della donna, secondo lo schema oppresso-oppressore e la dicotomia polo forte e polo debole. Questa dicotomia è stata evidenziata dalla studiosa australiana Plumwood che individua delle coppie oppositive, di cui alcune delle più significative sono azione/passività, ragione/emozione, mente/corpo, cultura/natura, in cui il primo elemento rappresenta la caratteristica dell’oppresso, e il secondo quella dell’oppressore.

Questi nessi, come sostiene la studiosa, rappresentano una modalità di rappresentazione e descrizione della realtà basata su logiche quali l’esclusione e la negazione. Quest’ultime sono dinamiche contrarie a quelle che definiscono l’ecofemminismo che si fa portavoce di valori invece come l’inclusione, l’importanza delle relazioni, la conservazione della vita e della maternità.  Per le attiviste ecofemministe inoltre, sono centrali le preoccupazioni legate alla salute del corpo che sono strettamente legate alla salute del pianeta.


Il termine Ecofemminismo appare per la prima volta nel 1974, nell’opera della scrittrice e attivista per i diritti delle donne Francçoise d’ Eaubonne intitolato Le fèminisme ou la mort.

Poco dopo, nel 1978, d’Eaubonne fondò il movimento Écologie et Féminisme che in Francia non ebbe lo stesso successo che riscontrò invece in paesi quali l’Australia e gli Stati Uniti. Qust’ultimo, infatti, fu il paese che maggiormente accolse le istanze di movimenti progressisti quali l’ecologismo, il femminismo, e dove la lotta femminista divenne una rivendicazione per la conquista concreta di diritti come l’aborto, il divorzio, la contraccezione e le pari opportunità.
Contemporaneamente, negli Stati Uniti l’ecofemminismo divenne anche argomento di studi accademici.

In Italia invece, il movimento ecofemminista e i collaterali studi sull’ecofemminismo rimangono ancora poco approfonditi nonostante anche per l’Italia gli anni ’70 del secolo scorso siano stati il fulcro del progresso della lotta femminista, testimoniato dall’ introduzione della legge per il divorzio nel 1970 e quella per la legalizzazione della pratica dell’aborto nel 1974.

La proposta del movimento ecofemminista ha come cardine la liberazione simultanea della natura e della donna, possibile solo decostruendo una stessa logica di sfruttamento che ne è alla base. Infatti, è il medesimo sistema di dominio patriarcale e capitalista che ha contemporaneamente permesso la subordinazione delle donne e il riscaldamento climatico. È necessario quindi secondo l’ecofemminismo condurre lotte parallele, in virtù di uguali dinamiche di potere constatate in diversi contesti, avendo come obiettivo l’individuazione di medesime modalità per contrastare dinamiche dall’identica matrice. Ed è proprio su questa necessità che si basa il concetto di intersezionalità delle lotte.

L’ecofemminismo propone una nuova prospettiva sulla realtà, un punto di vista inedito che rovescia quello precedente e che non ha come obiettivo l’instaurazione di una nuova gerarchia che abbia al suo apice la donna e il suo ruolo nella società, ma che ponga coloro che fanno parte di uno stesso ecosistema in una relazione orizzontale ed egualitaria.

L’augurio per il nostro paese è che possano affermarsi, anche nell’attuale dibattito culturale italiano, gli studi ecofemministi, che attraversati da un’idea di inclusività e orizzontalità porterebbero una ventata di aria fresca in un paese ancora troppo ancorato al passato.

Chiara Celeste Nardoianni

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Chiara Celeste Nardoianni

Mi chiamo Chiara Celeste Nardoianni, sono toscana ma prima che me lo chiediate, non aspiro la 'c' nella frase "la coca cola con la cannuccia corta corta". Ho il bellissimo difetto di credere nel potere sociale della letteratura e che un buon libro possa essere una chiave di lettura della realtà. Come diceva Gandhi dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.

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