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Black Rights Matter: la playlist per omaggiare la lotta afroamericana nel “Martin Luther King’s day”

Non possiamo camminare da soli.

Con questa frase – intrisa di forza e ricordi – l’NBA celebrerà l’annuale appuntamento con il Martin Luther King‘s day.

Un Monday speciale, che non racconta solo di una notte di sport, ma porta con sé un valore comunitario e storico molto più ampio. Di fatti, il terzo lunedì di ogni gennaio (quello più vicino al 15, data di nascita di King) è anche quello che celebra il tributo ad uno dei più grandi attivisti afroamericani di sempre.

L’esistenza di un pastore, un libero cittadino e libero pensatore, vissuta da pilastro portante in contrasto con una società conservatrice che anacronisticamente portava con sé ancora le scorie di una guerra civile, dell’astio di una reticenza culturale xenofoba, di una società che emancipava i “colored” fino all’avvento di un decennio, quello degli anni ’60, capace di portare in grembo la necessità di un cambiamento. Uomini straordinari come Malcom X, Bob Kennedy ma soprattutto lui, King.

Il riconoscimento a forza del movimento dei diritti civili, l’approvazione del Civil rights act, il premio Nobel per la pace ma anche le persecuzioni razziali e governative di un idolo da minimizzare. Arresti, aggressioni, l’ingiusta sequela di una morsa stritolante culminata con la morte, per omicidio, il 4 Aprile del 1968 a Memphis.

Questa giornata a lui dedicata ha avuto una lunga fase di gestazione, una sorte di grosso movimento civile post mortem per un riconoscimento necessario.

Soltanto nel 2000 il paese tutto ha iniziato a celebrare questo memorial day con una certa rilevanza, dopo l’approvazione del disegno di legge avvenuta solo nel 1983 sotto Ronald Reagan, ma che entrò effettivamente in vigore nel 1986.

Ad oggi, quello del King’s day, rimane uno degli avvenimenti cardine in una storia di accettazione razziale che dura da oltre un secolo: dall’abolizione della schiavitù fino a vicende che contraddistinguono l’agenda contemporanea. Ricordiamo che il 2020 è stato anche l’anno del movimento Black Lives Matter che ha destato eruzioni emotive in tutto il pianeta dopo lo sconcerto per l’omicidio di George Floyd. Ma è stato anche l’anno di un’America “great again” che ancora si specchia nella mitizzazione dell’archetipo bianco e suprematista.

Anche la musica ha provato a raccontare King, quella musica che ha sempre fatto da detonatore, da agitatore di coscienze, raccontando il suo tempo.

Ecco allora otto brani da ascoltare per celebrare il Martin Luther King’s Day e per ricordare che ogni giorno, nel nostro quotidiano e nel nostro piccolo, ci sono idee da portare avanti!

  • Happy Birthday – Stevie Wonder

Forse uno dei pezzi più importanti che si legano alla storia di King, Stevie Wonder infatti si è battuto tanto per il riconoscimento di questo giorno di memoria e nel 1981 organizzò anche una manifestazione in cui rimase celebre la sua performance con questo brano.

  • One Vision – Queen

Nel testo di questo brano del 1985 si legge “Look what you’ve done to my dream” estrapolate proprio da un discorso dell’attivista scomparso, un discorso destinato a divenire inno alla speranza e unità dei popoli.

  • A Change Is Gonna Come – Sam Cooke

Quasi una riposta alla Blowin’ in the wind di Bob Dylan, questo celebre brano negli anni ’60 diviene una delle canzoni simbolo nel decennio fondamentale dell’invocazione al cambiamento.

  • Strange Fruit – Billie Holiday

Questo brano jazz fu inciso nel 1939 da Abel Meeropol, ma la versione interpretata da Billie Holiday rimane senza dubbio la più celebre. Divenne la canzone di fine scaletta delle esibizioni dell’artista che destabilizzò il pubblico di allora per la crudezza intrinseca di un brano anche commovente.

Ispirato all’epoca della schiavitù nera e dei campi di cotone, lo “strano frutto” che penzolava dagli alberi erano i corpi dei poveri malcapitati di colore impiccati.

  • Alabama– John Coltrane

Un brano molto legato al ricordo di King, infatti il “lugubre” fraseggio di uno dei più grandi jazzisti di sempre, sferzante e profondo, riprende con la sua partitura le vibrazione del discorso che Martin Luther King tenne a seguito dell’attacco terroristico sferrato dal Klu Klux Klan, il 15 settembre del 1963,  alla 16th Street Baptist Curch di Birmingham, Alabama, che causò la morte di quattro bambine di colore.

  • Sixto Rodriguez – Sugar Man

Alcuni inni alla lotta razziale sono anche la conseguenza di storie uniche nel suo genere come quella del cantautore Sixto Rodriguez, promettente meteora negli Stati Uniti, ma che scopre nuova vita nella diffusione di passaparola e vinili lontano da casa. Di fatti, proprio in Sud Africa i suoi dischi divengono simbolo della rivolta anti-apartheid, per via dei testi anti-establishment contro l’oppressione e i pregiudizi sociali. La musica di Rodriguez divenne colonna sonora contro il governo razzista di Botha.

  • Black Parade – Beyoncé

Passiamo alla contemporaneità più assoluta, e non poteva mancare una queen come lei, paladina negli anni dell’accettazione di genere, manifesto di un nuovo femminismo e indubbiamente non poteva, con uno dei suoi brani, non entrare nei cuori della lotta del Black Lives Metter.

I’m goin’ back to the South
Where my roots ain’t watered down
Growin’, growin’ like a Baobab tree
Of life on fertile ground, ancestors put me on game”

  • Body Cast – Dua Saleh

Parliamo di generazioni contemporanee, di anime in subbuglio che affollano il nuovo panorama della subcultura black, e lei giovanissima rapper e cantante, arriva proprio da Minneapolis, la città che è divenuta il cruento scenario dell’uccisione di George Floyd da parte di alcuni agenti di polizia.

Il brano mostra all’inizio e alla fine spezzoni di una una clip audio tratta dal video del 2019 dove una donna di nome Angela Whitehead, sull’uscio della sua porta di casa cerca di impedire alla polizia di entrare illegalmente in casa sua; inoltre, la copertina dell’album è ricoperta dai tanti nomi delle innocenti vittime afroamericane.

La giovane ha deciso di devolvere il cento percento del ricavato a Women for political change, un’organizzazione che lavora da sempre per l’uguaglianza di genere.

Claudio Palumbo

Leggi anche: Martin Luther King e il sogno americano

Claudio Palumbo

Mi chiamo Claudio, classe “non” di ferro 1989. Se dovessi descrivere il grosso contenitore attitudinale della mia vita sarebbe quello con il post it “feticista della cultura pop e contemporanea”. A cucire con filo i tanti tessuti di uno stesso vestito è la scrittura, redazionista per diversi web magazine, ufficio stampa e versi folli e sciolti.

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