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Polytechnique di Villeneuve: l’entropia del massacro

Nel dicembre di trentuno anni fa, il venticinquenne Marc Lépine, armato fino ai denti, entrò nel Politecnico di Montrèal con lo scopo di assassinare tutte le donne presenti nella struttura universitaria.

Le vittime totali di quella strage furono quattordici.

Il trauma scaturito da quell’evento improvviso e senza senso rappresentò un’eredità indelebile e altrettanto distruttiva, raccolta dal film Polytechnique di Denis Villeneuve.

Cosa succede se si introduce una particella instabile all’interno di un sistema ordinato? Quel sistema sarà irrimediabilmente e irreversibilmente corrotto dal caos creato dall’aumento di disordine scaturito dalla reazione. Si avrà un aumento di entropia.

Il 6 dicembre del 1889, lo studente Marc Lépine, dopo mesi di pianificazione, decide di attuare il suo piano: fare fuori quante più donne è possibile all’interno dell’Ècole Polytechnique di Montréal, in Canada. Tutto questo in nome dell’antifemminismo. Dopo aver ucciso quattordici donne, si toglie la vita sparandosi in testa con lo stesso fucile semiautomatico.
A portare sullo schermo quel tragico evento è stato Denis Villeneuve nel 2009 con il suo terzo lungometraggio, Polytechnique, esplicitamente dedicato alle vittime della strage e alle loro famiglie.
Il film, girato in un gelido bianco e nero, ruota brevemente attorno alle vite di alcuni studenti, compreso il killer, e soprattutto si focalizza su quella di Valérie, giovane studentessa che aspira ad uno stage di ingegneria meccanica.
I due temi principali della narrazione, la discriminazione delle donne e quello della strage, si intersecano tra loro dando più spazio ai fatti e alle conseguenze che alle motivazioni di fondo. Pochi fotogrammi sono riservati al killer sociopatico e misogino e a quelli che potrebbero essere i motivi o le cause del suo pensiero e di quelle azioni raccapriccianti. Una cosa è certa: odia le femministe, le donne che vogliono far valere i propri diritti, come quello allo studio e all’inserimento nel mondo del lavoro. Prima di recarsi al politecnico, egli lascia sparse delle lettere, di cui una anche a sua madre, in cui spiega superficialmente l’odio e la depressione che prova: «Le mie ragioni sono politiche: ho stabilito di rimandare al creatore le femministe che da sempre mi hanno inasprito la vita. Da sette anni essa non mi dà più alcuna gioia ed è per questo che ho deciso di porre fino a tutta questa squallida viragine».

Valérie, in quanto donna, viene colpita due volte nel corso della narrazione: durante il colloquio da un professore che cerca di farla desistere dalla scelta di un percorso imboccato prevalentemente da uomini, e subito dopo, fisicamente e sentimentalmente dalla sparatoria. Il contesto del politecnico, del mondo scientifico in generale, è ancora marcatamente maschile. Le due amiche, inquadrate mentre ne attraversano l’ingresso, sono le sole presenze femminili che si incontrano per un bel po’. Lo stesso killer, che sembra incarnare l’estrema rappresentazione violenta di quel sostrato maschilista e tremendamente retrogrado, faticherà a trovare le vittime della sua follia.
L’altro tema dominante, quello della strage, accomuna questa pellicola a Elephant (2003) di Gus Van Sant. Anche Polytechnique è la rappresentazione di un giorno ordinario qualsiasi, in questo caso universitario, e ci vengono presentati diversi punti di vista.  La prospettiva cambia e i movimenti della macchina da presa diventano a tratti riflessi cubisti, multiformi, primi piani e riprese capovolte di una realtà che non sarà più tale. Mentre in Elephant i piani sequenza seguono i personaggi come fossero le loro ombre, qui, spesso, l’obiettivo prende le distanze, si ferma e li lascia camminare, li guarda da lontano, occupato a catturare il caos che viene a crearsi.
La Guernica di Picasso, che si palesa davanti agli occhi del giovane Jean, sembra l’indizio di ciò che sarà: un caos in cui la pace è gravemente ferita. Questo stravolgimento di uno stato tranquillo in superficie, scosso da una scheggia impazzita che racchiude in sé tutte le anomalie del sistema, come quell’opera, viene qui inquadrato e letto da destra verso sinistra.

Cosa avviene una volta che la particella è stata neutralizzata? Niente è più lo stesso. Il sistema complessivo è ormai destabilizzato, è disordinato e niente di ciò che era prima è ormai recuperabile nella sua forma originale. Allo stesso modo i sopravvissuti, mutati nell’animo, fanno i conti con ciò che è successo ricevendo i colpi delle conseguenze a lungo termine.

«Se avrò un figlio gli insegnerò ad amare, se avrò una figlia le insegnerò che il mondo le appartiene».

Maria Cristiana Grimaldi

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Mariacristiana Grimaldi

Maria Cristiana Grimaldi, classe ‘92, laureata in Filologia Moderna presso l’Università degli studi di Napoli Federico II, scrive per “La Testata” e il collettivo letterario “Gruppo 9”. Docente di italiano e storia, è stata rapita dagli alieni e ha dato alla luce due gemelli eterozigoti, un maschio e una femmina, che presto domineranno il mondo.
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