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Gli indifferenti: Seràgnoli riporta al cinema Moravia

Leonardo Guerra Seràgnoli si cimenta in un’impresa non facile e ci propone, su pellicola, la sua versione de Gli indifferenti di Moravia.

È un momento, questo, quanto mai buio per il cinema ed è deprimente ribadirlo ancora: eppure qualche uscita interessante, qualche titolo che generi attesa, ce lo regala a fatica anche l’inverno 2020.

Gli indifferenti di Leonardo Guerra Seràgnoli, dal 24 novembre, è disponibile su Sky Primafila, Apple TV, Google Play, Chili, Rakuten, TimVision, Infinity, MioCinema, IoRestoinSala, CG Digital e The Film Club.

Seràgnoli ci propone uno dei classici del ‘900 italiano in chiave moderna: la borghesia apatica, indifferente, affettata e vacua di Moravia non è poi distante chissà quanto dalla borghesia dei giorni nostri che, irrimediabilmente incastrata nella forma, perde ogni contatto con la sostanza, i valori, i rapporti, i legami.

Moravia, nel suo romanzo d’esordio, unanimemente riconosciuto come il più compiuto dei suoi romanzi, fotografa in modo imparziale e disincantato un’epoca, una classe sociale, uno stato d’animo: l’indifferenza, quel non-sentire comune all’intera borghesia del primo Novecento.

È l’indifferenza che paralizza Michele, Mariagrazia e Carla, protagonisti e antieroi di questo romanzo, che impedisce loro di sentire dolore, di avvertire il pericolo, di provare l’affetto che naturalmente lega chi ha lo stesso sangue. Ad approfittarsi di questo non-sentire è Leo Merumeci, personaggio abietto che presta a strozzo i sentimenti come i soldi, che sacrifica ogni affetto alla spietata logica del guadagno.

Seràgnoli sfodera un cast di tutto rispetto e trasporta i quattro personaggi in una Roma attuale, scossa da un lieve terremoto. Mariagrazia trova in Valeria Bruni Tedeschi la classe e la squilibrata malinconia necessarie per rendere appieno il suo disagio, economico ma soprattutto emotivo. Edoardo Pesce è Leo, amante spietato che si ciba della disgrazia e delle voragini affettive di Mariagrazia e di sua figlia, Carla (Beatrice Grannò). Michele (Vincenzo Crea), personaggio che Moravia mette a fuoco perfettamente nella sua impassibile apatia, è nel film un ragazzino spaesato e incerto in cui si intravedono tratti di un complesso edipico, che intrattiene una relazione con la più matura Lisa, una pressoché inesistente Giovanna Mezzogiorno.

Eppure, Seràgnoli, pur avendo dalla sua l’impareggiabile potenza dell’immagine, non riesce laddove, invece, la parola di Moravia trova il suo successo: nell’indagine, nello scavare a fondo, penetrare la dura scorza della forma e affondare nel vuoto della totale mancanza di emozioni, nella necrosi affettiva del microcosmo borghese.

Il regista rimane sempre in superficie, troppo lontano dalla drammaticità del presente, e descrive una realtà che appare poco reale, che a fatica si riesce a calare in un tempo storico definito. I personaggi si muovono tra una camera e l’altra di una sontuosa casa borghese, che sembra però sospesa nello spazio e nel tempo, senza apparenti legami con un contesto storico o sociale preciso.

Una sapiente scelta dei luoghi, di una bellezza peraltro sconcertante, non può, infatti, sostenere il peso dell’indagine socio-antropologica che il regista si prefissa. I personaggi, dunque, privati di un contesto, risultano bidimensionali e privi di una profondità emotiva o sociologica.

Valentina Siano

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La Redazione

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