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Nasse di Annarita Rendina: il mare come paradigma dell’esistenza

Quando ho letto Nasse della poetessa napoletana Annarita Rendina era marzo. In pieno primo lockdown, decisi di donarmi l’esperienza di una raccolta diversa, distante dai pesantissimi “classici” con cui adoro ammorbarmi l’esistenza abitualmente.

Volevo dialogare con qualcuno che avesse la mia età, venisse dal mio stesso luogo, parlasse la mia lingua. In un momento storico di isolamento sentivo di aver bisogno di una compagna, di una compagnia, del dialogo poetico con una giovane donna che poteva mettere in versi un dolore a me avvicinabile, comprensibile, o una gioia estatica. Volevo empatizzare, immergermi, tuffarmi.

E mai naufragar mi fu più dolce che in questo mare, un mare prossimo eppur profondissimo, quello del luogo in cui Annarita è cresciuta e vive: il mare di Monte di Procida. È tanto banale quanto inevitabile constatare che il mare è il fulcro, il cuore ferito e pulsante dell’opera di Annarita.

Prima di poter parlare con lei – pochi giorni fa, nel pieno del secondo lockdown– non avevo neanche ben capito cosa fosse esattamente, una nassa. Il gergo ricercato riferito alla pesca, alle imbarcazioni, alla vita marina utilizzato da Annarita era motivo di mistero e di fascino, una di quelle domande che non avrei potuto frenarmi dal porle alla prima occasione. Citiamo qualche verso, per capire meglio di cosa parliamo:

“Ho tirato su la nassa/a fatica/con le mani rosse/in mezzo a tanto azzurro. È una massa/di scuri sargassi/ciò che è riemerso al mio braccio”.

Difficile non capire, anche senza sapere, che questa mano che affonda nel blu, meraviglioso ed ignoto, delle acque e riemerge diversa, intrecciata con alghe (i sargassi, appunto) che sono estranee ma ormai anche attaccate, ingarbugliate, è un tuffo a tentoni nella vita. Immergere un mano nel mare azzurro senza sapere cosa ci sia sotto, sapere cosa si immerge ma non come si emerge è l’immagine più esemplificativa di questo viaggio letterario e spirituale.

Quando ho chiesto ad Annarita cosa avesse scatenato la sua creatività, guidando la sua penna e la sua ricerca, la risposta è stata una, semplice: il dolore per la malattia e la perdita di una persona cara, vicinissima al cuore. La nassa da pesca, mi dice Annarita, è una trappola metallica o di plastica cui è attaccato – infine – un imbuto.

L’esca appesa all’interno – dunque – costringe il pesce affamato ad entrare forzando le maglie posizionate sulla strozzatura. In questo modo, il pesce è definitivamente bloccato, è in trappola.
Inconsapevolmente, la preda nuota verso la sua prigione, verso la sua fine. Così è anche la malattia, una oscurità lenta, subdola ed irrefrenabile. Sarebbe facile leggere tutta la raccolta (fatelo!) percependo questo filtro, il filtro del lutto, la lente della perdita, ma non è questo lo scopo della sua autrice. Perché nei suoi versi risuona l’amore per l’altro, la capacità di donare luce ad un momento di totale cecità, riempire di bellezza e di importanza ogni giorno, celebrare l’esistenza umana, anche debole, precaria ed effimera.

Il viaggio negli abissi è lungo, senza una apparente fine, ma ciascun secondo di abisso è un presente da vivere, un paesaggio da osservare, la varietà dell’esistente può essere apprezzata anche nell’ombra, non necessita del plauso del sole. È resistendo alla lenta distruzione, percorrendo la strada con curiosità, poesia, gratitudine che si può lentamente cominciare a risalire.

Il punto di questo lavoro di scrittura è, dunque, proprio qui: raccontare la caduta, la sua dolorosa bellezza, ma senza mai dimenticare la possibilità di riemergere. Annarita, durante la nostra conversazione, ha sottolineato quanto sia facile attribuire un significato triste, un tono plumbeo e funereo all’ opera quando invece la sua costruzione è stata divertente, produttiva, una proposta di liberazione e di riconoscimento del sé. La coesistenza tra morte e vita è la linfa del percorso che finisce in un luogo completamente diverso da quello di partenza.

Il prossimo obiettivo di questa giovane autrice è quello di sondare – con la sua potente, creativa, emotiva poesia – l’altro, l’estraneo, l’essere al di fuori del sé.

Nasse è disponibile online, ordinabile o scaricabile, ed è edito da Interno Poesia Editore.

Buona lettura!

Sveva Di Palma

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La Redazione

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