Sociale

Boys will be boys or… not? Rileggendo la mascolinità tossica

“Boys will be boys” è un modo di dire americano vecchio come il cucco. Un po’ come il concetto che esprime.

Sostanzialmente, con la scusa che “l’uomo è uomo” ed è dunque fatto in un certo modo, settato biologicamente, si sono giustificati per secoli atti di sessismo, razzismo, abuso, violenza, bullismo. Da parte dell’uomo, chiaramente. I trend setter della psicologia e della sociologia hanno definito questo fenomeno “mascolinità tossica”

Non che gli uomini non sappiano essere dei gran coglioni, sia chiaro, questo è un assioma principalmente sacrosanto, ma le cause e le origini del comportamento aggressivo, le manifestazioni eccessive di forza, gli abusi fisici e mentali sono stati accettati fornendoci una soluzione semplicistica che privava l’essere umano di sesso maschile e di orientamento principalmente eterosessuale di qualsiasi autocontrollo sui propri istinti primordiali.

L’uomo è nato per proteggere e lottare, per procurare cibo alla comunità, per rendere la donna che desidera propria, madre dei propri figli, propria personale fornace. È istinto, cosa può farci? Sono uomini, gli uomini sono fatti così. Infedele? Non è colpa sua, per natura deve inseminare più donne possibili per assicurare la continuità della specie. È violento? È il testosterone, la tempra, la sua naturale inclinazione al comando. Così, per la gran parte della nostra storia di umanità, gli uomini sono stati privati del diritto di essere altre cose, oltre che maschi.

Interdetta la possibilità di scegliere per se stessi liberamente, di potersi migliorare riconoscendo i loro limiti e i loro errori, l’importanza dei loro fallimenti e delle loro lacrime.

Che ci sia qualcosa di tossico, in questo, credo sia poco discutibile. E da diversi anni la cultura di social, magazine, testate online ha deciso di racchiudere una rosa di comportamenti brutali, criminali ed inaccettabili nella “malattia sociale” chiamata mascolinità tossica. Nel 2016, la toxic masculinity era ovunque, in video denuncia, in ogni articolo dai toni femministi, nelle pubblicità, slogan che inneggiavano alla rieducazione del maschio moderno e al restyling del termine “mascolinità” affollavano YouTube, Facebook, Instagram, Twitter . È un sentimento che ha travolto alcuni uomini, sensibili ed intelligenti a sufficienza da comprendere la necessità di solidarietà e cambiamento, di collaborazione con la donna invece che di sudditanza o di dominio. Perché la mascolinità intesa come aggressività, promiscuità, possessività, anaffettività, danneggia in primis l’uomo, costretto a doversi guadagnare il suo diritto di essere tale e dunque virile, dominante, attraverso l’eliminazione delle fragilità.

Non bisogna pensare che tutta la mascolinità sia tossica, o che ci sia qualcosa di endemicamente sbagliato nella virilità, anzi, bisogna rifondare il concetto ripartendo dall’inclusione delle parti migliori di ciò che è tradizionalmente affidato all’uomo, ovvero il provvedere al prossimo, proteggere, ordinare, regolare, la chiamata all’eroismo e riuscire ad allargare il raggio d’azione della mascolinità a tutti i sentimenti umani, alle paure, alle tenerezze, al poter avere più bisogno d’amore della propria partner. La mascolinità non è un premio da vincere, una coppa da guadagnarsi, un titolo olimpico. Non si è più o meno uomo, più o meno macho, se si cela l’amore, se si tratta con rispetto la propria compagna, se si accetta che l’omosessualità non è una minaccia all’altrui virilità ma solo un orientamento sessuale come un altro. Si è uomini perché si nasce tali, non c’è nessuna gara tra chi è più o meno uomo.

E questo, questo riadattamento necessario per la salvezza ed il benessere di tutti, è un’opera che deve partire dal dialogo, tra uomini e donne, tra donne e donne, ma soprattutto tra uomo e uomo. I cinici e chiusi uomini che conosco io, a leggere queste parole, vomiterebbero una quantità di stronzate inarginabile, del tipo : sei una feminazi, le donne ormai vogliono prevaricare sugli uomini, le differenze biologiche non rendono possibile quello che dici, l’uomo per natura è più forte, volete farci diventare tutti checche.

E sì, c’è molto lavoro da fare. Forse troppo. Non so se riusciremo ad essere testimoni di un reale cambiamento, almeno in questa era geologica.

Ma, nel frattempo, ci si può impegnare a dare una mano in questa lotta per la liberazione dell’uomo, per la sua emancipazione. Ed è meraviglioso osservare i frutti di questa lenta semina, quando è se germogliano, fioriscono e maturano.

L’uomo libero, liberato, in pace con la propria mascolinità – e, perché no, con la propria femminilità – è una creatura stupenda, ricca, un faro in grado di illuminare una via diversa.

Ci auguriamo costoro ci aiutino a migliorare il mondo.

Sveva Di Palma

Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button