Sociale

La ministra Bellanova e la famigerata “sanatoria”

Chiarezza sulla proposta di regolarizzazione di braccianti, domestici e colf

La crisi economico-sanitaria scatenata dal Coronavirus – anche se non ancora pienamente manifesta – ha puntato un faro abbacinante sui punti bui della nostra politica sociale ed economica. 

Le situazioni meno che ideali di artisti, operatori dello spettacolo, lavoratori indipendenti e soprattutto delle masse di braccianti impiegati nei campi e colf, badanti, addetti alle pulizie dei singoli sono finalmente lampanti, visibili. Prendere provvedimenti appare necessario, impellente. Qui parleremo della proposta della ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova, causa di controversie durante il governo Conte II

Una proposta temporanea, di sei mesi ma prorogabile fino ad 12, per poter regolarizzare il lavoro principalmente a nero di migranti e colf, lavoratori spesso sfruttati, costretti a vivere in condizioni inaccettabili e retribuiti con paghe misere. Una risposta tempestiva – nel caso fosse accettata – ad un problema – se così vogliamo definirlo – che piaga il tessuto socio-economico dell’Italia da una quantità ormai indefinibile di anni. Ma il provvedimento non ha fatto nemmeno in tempo ad essere illustrato in Parlamento che subito le acque hanno cominciato ad agitarsi tra i rappresentanti della Lega e del M5S

Vito Crimi, capo politico del M5S, ha rifiutato totalmente la proposta, mentre il capo della Lega Matteo Salvini ha bocciato la “sanatoria” per i migranti sottolineando quanto sarebbe più opportuno priorizzare gli italiani in difficoltà. I risvolti tra i parlamentari sono – insomma- sempre i soliti. Cambiare le proprie ideologie per funzionalizzare una pulizia imperativa del territorio italiano sembra impossibile, anche se solo per qualche mese. 

Il programma della Bellanova – oltre ad essere umanamente corretto, per non dire improrogabile – servirebbe anche a risolvere il sottovalutato universo di ammassamenti insostenibili in un periodo storico che bandisce ogni tipo di vicinanza tra corpi. 

Non solo dunque un aiuto per persone semplicemente in cerca di un modo per auto-sostenersi, ma anche un pratico strumento per combattere e scongiurare la diffusione del Covid-19. Certo, non semplice, come tutte le soluzioni immaginate e mai implementate su una realtà politica, sociale ed economica come quella dell’Italia, arroccata su posizioni pigre da decenni nonostante sia testimone ogni giorno delle proprie contraddizioni, dei propri divari e della propria crescente varietà etnica e culturale. 

È appunto questa varietà, connessa alla profondità di certi abissi sociali ed economici di difficile decifrazione, ad aver esacerbato il dolore di una ferita antica ed insanabile, quella dei lavoratori e dei datori di lavoro, talvolta schiavi e schiavisti, ruote motrici di un sistema malato basato sullo sfruttamento. 

Le prospettive di risanamento avanzate e sperate da ministri come la Bellanova sono certamente sia ammirevoli che – possibilmente – utili a rendere più limpido un intricato e nebuloso disegno economico. La loro concretizzazione è, purtroppo, molto più complicata, in quanto numeri reali e dati credibili sono sempre pressoché impossibili da valutare: la trasparenza è amica e nemica della nostra economia, un fattore quasi culturale, endogeno, sul quale ci sembra di poter fare poco.

Chi dirà – onestamente- quanti migranti ha fatto lavorare nei propri campi illegalmente, a nero, per molte ore e pochi spiccioli? Chi dirà di aver dato in affitto senza contratto una casa con massimo 5 posti letto e di averci trovato dentro almeno il doppio delle persone? Chi si farà avanti, coraggiosamente, ad immettersi nel sistema riconosciuto ed ufficiale, in un momento  incerto, ombroso, incomprensibile? 

Non so, ma appare evidente la scarsa riuscita di un provvedimento così incisivo – forse addirittura rivoluzionario – anche se agli occhi di qualcuno potrebbe sembrare il minimo, la base essenziale di un paese civile. Agli occhi di qualcun altro, questo ( 6 mesi per sole 600.000 persone) potrebbe essere persino troppo poco, una toppa minuscola in un tessuto liso, bisognoso di una ricucitura, di una indagine capillare. 

Le voci di coloro che oppongono la visione della Bellanova sono emblematiche del limbo intellettuale ed umanitario che fa da cornice ad ogni tentativo istituzionale di solidarietà, uguaglianza e lieve presa di distanza dal post- berlusconismo dello scorso decennio.  

Ogni visione di cambiamento o evoluzione viene contestata con un’opposizione sempre più indefessamente reazionaria e pseudo-patriottica, con una cieca difesa di diritti e confini che sono inevitabilmente sempre più labili ed elastici, nel bene e nel male.

 Bisogna iniziare a pensare al mondo come a qualcosa di diverso, dopo la pandemia di COVID, come a qualcosa di vivente e unico. Buonismo ed ingenuità sono spesso due sostantivi che vengono affibbiati a chiunque si esprima in questi termini, ma credo che – mai come ora – affermare che il mondo abbia bisogno di una presa di coscienza collettiva ed unione sia interamente scevro da idealismi ed illusioni.

È la sola soluzione al problema della sopravvivenza: riuscire a portare alla luce e alla consapevolezza tutte le realtà, anche quelle finora emarginate, ignorante e nascoste per poter collaborare gli uni con gli altri. 

Etichette, giudizi, chiusure e consequenziali impoverimenti possono solo servire a peggiorare le condizioni di un pianeta al limite delle sue risorse, velocizzarne la consumazione. 

Il tempo impiegato a confinarsi, a distinguersi, a sgomitare, a trovare motivazioni per cui sentirsi superiore ed in diritto, a dimostrare chi e perché è secondo e contro natura è tutto sprecato, energie perdute. 

Riflettiamo su questo, cerchiamo di capire come risolverci, salvarci. 

Sveva Di Palma

Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.

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