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“The Met”: 148 anni di storia e passione

Il Metropolitan Museum of Art di New York (più semplicemente conosciuto come Met) festeggia oggi l’anniversario della sua inaugurazione, avvenuta nel 1872.  E da piccolo edificio sulla Fifth Avenue consistente in meno di 200 dipinti ed un sarcofago romano fino ad arrivare all’imponente struttura neogotica sul versante est di Central Park, ne ha fatta di strada.

Le opere del Met si suddividono in ben diciannove categorie, passanti per l’arte greca, romana ed egizia a quella europea, islamica, asiatica ed americana, dalla fotografia all’arte moderna e contemporanea, e ancora contando una sezione dedicata agli strumenti musicali ed un’altra che funge da biblioteca, giusto per citarne qualcuna.
Ma non solo: il Met ha sempre cercato di spronare le persone a farsi visitare, esplorare ed amare, tramite mostre organizzate nel corso degli anni. Ripercorriamone alcune delle più recenti insieme, per celebrare con questo colosso dell’arte il suo felice centoquarantottesimo compleanno.

Rendere i più giovani protagonisti.
Nel 2016 sono stati presentati ben 89 progetti artistici appartenenti ai bambini di alcune scuole pubbliche di New York. P.S. Art 2016: Celebrating the Creative Spirit of NYC kids è il nome dato alla mostra, dove, come dice lo stesso titolo, viene celebrato il senso artistico dei bambini della città, dai più piccoli ai liceali. L’espressività a la genuinità di quei ragazzi la fanno sicuramente da padrona, basti guardare l’orgoglio e la fierezza con cui questi giovani talenti espongono la propria arte.

L’Iphone e la nuova frontiera della fotografia.
Due persone che possono comunicare fra di loro solo ed unicamente con immagini, fotografie scattate tramite il proprio telefono, nessuna didascalia: è questo il progetto Talking Pictures: Camera-Phone Conversations Between Artists, che ha visto impegnate dodici coppie di artisti a messaggiarsi per cinque mesi, dal novembre 2016 all’aprile 2017, intrattenendo un tutt’altro che usuale rapporto epistolare. Le foto realizzate sono poi state esposte al Met per il decimo anniversario dell’Iphone, il mezzo utilizzato nell’iniziativa.

Michelangelo meets Michelangelo.
A cavallo fra il 2017 ed il 2018, il Met ha ospitato alcune opere del celebre artista fiorentino Michelangelo Buonarroti. Ma non gli è bastato. Durante l’esposizione, è stato fotografato un buffo personaggio aggirarsi per le sale del museo. Una tartaruga umanoide mascherata, per la precisione. Si tratta di Michelangelo, personaggio del celebre fumetto  – e poi cartone, per i più piccoli – “Tartarughe Ninja”, che vede protagoniste quattro tartarughe geneticamente modificate che portano il nome di grandi artisti rinascimentali (oltre a Michelangelo, abbiamo Leonardo, Raffaello e Donatello) e che impiegano il loro tempo a sconfiggere il crimine della Grande Mela. In questo caso, la simpatica tartaruga, impersonata da un attore chiamato dal museo stesso, viene ritratta nelle foto come un visitatore qualunque, curioso di scoprirne di più sul suo omonimo. In quanto a trovate pubblicitarie divertenti ed originali, il Met riesce sempre a sorprendere.
Un grande classico: Delacroix.
Fino al gennaio dello scorso anno, il Met ha potuto godere della presenza di centocinquanta opere di Eugéne Delacroix per celebrare i 220 anni passati dalla sua nascita.
Fra dipinti e stampe, c’è poco da aggiungere: la bravura dell’artista francese si è fatta notare anche a New York, attirando curiosi e appassionati da ogni angolo  d’America.

La poetica danza di Ragnar Kjartansson.
Sette schermi disposti in circolo sui quali appaiono, posti in un campo di lava, due coppie di gemelli. Due donne accompagnano danzando e cantando due uomini che suonano la chitarra. Tutti e quattro i protagonisti sono esponenti del mondo della musica islandese locale: Kristín Anna e Gyða Valtýsdóttir sono le fondatrici del gruppo Mùm, mentre Aaron e Bryce Dessner  appartengono alla band The National. In un susseguirsi quasi magico ed irreale di movimenti fluttuanti nel vento con il paesaggio verde ed incontaminato sullo sfondo, Kjartansson ha così creato il suo Death is Elsewhere, utilizzando sette videocamere poste in un unico centro, in modo da riprendere ogni frammento che, unito agli altri, dava vita ad una danza dove si può udire una frase di grande impatto che conferisce, d’altro canto,  il nome al progetto: la morte è altrove.
E infatti, come potrebbe esserci, in una visione così eterea?

Ilaria Aversa

La Redazione

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