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Quando Cosa Nostra fu messa sotto maxiprocesso

“Dott. Falcone, noi dobbiamo decidere solo una cosa: chi deve morire prima, lei o io”.

(Da Il traditore di Marco Bellocchio)

La Seconda guerra di mafia e il pool antimafia

Siamo negli anni Ottanta del Novecento, e le guerre di mafia mettono in ginocchio una nazione intera.

C’è bisogno di prendere in mano la situazione, di mettere fine a questa follia che ha causato tra il 1981 e il 1983 circa seicento omicidi, e a fare ciò è Rocco Chinnici che decide di istituire una squadra di giudici istruttori ma viene ucciso prima del tempo.

A portare avanti il suo lavoro è Antonio Caponnetto che da vita ad un vero e proprio pool antimafia, ossia un gruppo di magistrati che collaborano insieme ad una stessa indagine, di cui fanno parte Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello coadiuvati da Giuseppe Ayala.

Il loro compito è quello di occuparsi esclusivamente di reati di campo mafioso, in maniera tale da poter meglio approfondire la conoscenza del fenomeno mafioso nel palermitano e combattere la criminalità organizzata.

Inizia così una lotta senza sconti che vede una vera e propria svolta con l’arresto di Tommaso Buscetta in Brasile nel 1983.

Il pentimento di Buscetta e il blitz di San Michele

Buscetta, che aveva militato nella fazione, risultata poi perdente nella Seconda Guerra di mafia, di Gaetano Badalamenti, era ricercato da tre anni e viene estradato nel 1984 in Italia, dove inizia a collaborare con la giustizia italiana.

Il suo “pentimento” si rivela essenziale per le indagini: racconta tutto ciò che c’è da sapere sull’organizzazione interna e le regole di Cosa Nostra e fa i nomi di mandanti ed esecutori materiali di numerosissimi delitti di mafia, cose all’epoca poco note tanto che ci vorranno due mesi per parlare di tutto.

A questo punto, avendoli quasi in pugno, si decide di passare all’azione e di eseguire degli ordini di custodia cautelare. Si organizza così un blitz per il 29 Settembre 1984, soprannominato proprio il “blitz di San Michele”.

Vengono eseguiti 366 ordini di custodia cautelare, cosa che provocherà stupore non solo in Italia ma anche nel resto del mondo, e non mancheranno le critiche che lo definiscono un esempio di “giustizia spettacolo”.

Ma, nonostante tutto, si procede e siamo nel 1985 quando il giudice Caponnetto emana l’ordine sentenza del maxiprocesso.

Di 707 indagati, 475 furono rinviati al processo.

Mai lo Stato italiano si era trovato a fronteggiare una simile situazione e ciò è perfettamente testimoniato dal fatto che, per poter accogliere tutti gli imputati più gli avvocati difensori, giornalisti, ecc. nell’ex carcere dell’Ucciardone viene fatta costruire in pochi mesi una nuova aula detta “aula bunker”, dotata di sistemi di protezione tali da poter resistere ad un attacco missilistico.

Il maxiprocesso

È il 10 Febbraio del 1986 e si apre il processo.

Tra le accuse mosse agli imputati vi sono centoventi omicidi, estorsione, rapine, traffico di droga e delitto di associazione mafiosa.

Tra i nomi degli ascritti ci sono Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Luciano Leggio e Pippo Calò.

Tra quest’ultimo e Buscetta, protetto durante il processo da una gabbia di vetro antiproiettile, avviene l’unico confronto diretto prima che Buscetta venga condotto in America.

Il 16 Dicembre 1987, dopo trentacinque giorni di Camera di Consiglio, viene letto il dispositivo della sentenza: 346 condannati tra cui 19 ergastoli e 114 assolti, un duro colpo per Cosa Nostra, fino ad allora considerata una fortezza inespugnabile.

Dopo il processo d’appello, che vede diminuire le condanne e aumentare gli assolti, tocca alla Corte di Cassazione riprendere in mano la situazione e dare il colpo di grazia alla criminalità organizzata.

E così sarà.

La sentenza viene emessa il 30 Gennaio 1992 e vede confermate tutte le condanne e annullate le gran parti delle assoluzioni pronunciate durante il processo d’appello.

Tutti gli imputati vengono condannati all’ergastolo.

Il maxiprocesso è passato alla storia come una delle prime vittorie dello Stato italiano contro la mafia, che è costata però la vita a tantissimi uomini che si sono battuti per la legalità e per la fine di tutto questo.

Nel 1992, dopo la sentenza della Corte di Cassazione, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vengono assassinati a distanza di 57 giorni.

Ma la loro memoria, e quella di tutte le vittime della mafia, resterà per sempre viva in tutti noi, perché “chi ha paura, muore ogni giorno. Chi non ha paura, muore una volta sola” (Giovanni Falcone)

Maria Rosaria Corsino

La Redazione

Ciao! Sono la Redazione de La Testata – Testa l’informazione. Quando non sono impegnata a correggere e pubblicare articoli mi piace giocare a freccette con gli amici.
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