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Il baby talk: quando un bambino impara a parlare

Il baby talk è il linguaggio che gli adulti usano per parlare con i bambini.

Tranquilli, non siete impazziti, tutte quelle vocine che fate sono naturali! E ve lo dimostrerò.

“Ma ciao piccolina, come ti chiami? Giada. Ma sai che Giada è proprio un nome bello? Sì. Ma sì che lo sai! E quanti mesi hai? Tre mesi! Tre mesi ha questa bella bambina!”

“Mannaggia, mannaggia! Giada si è fatta la bua. Tanta bua. Ti fa male? E sì che ti fa male. Ma ora ci diamo un bel bacino e tutto passa. Smack. Passato tutto! Sì che è passato, vero? Sì, i bacini della mamma sono come medicine”.

“È ora di andare a nanna. Hai sonno? Sì che abbiamo sonno, oggi abbiamo fatto tante cose. Ti ricordi? Siamo andate a fare la spesa, poi in macchina abbiamo visto un cavallo. Era bello il cavallo, vero? Sì che lo era. E come faceva? – voce che imita il rumore dei passi del cavallo – Così, faceva proprio così. Ma ora andiamo a nanna, sei stanca vero? Sì. Anche la mamma lo è”.

Quando parliamo a un bambino piccolo, spesso pronunciamo parole ed espressioni che abbiamo smesso di usare durante la nostra vita di tutti i giorni: gli facciamo domande e per istinto rispondiamo al suo posto e, inconsapevolmente, in questo modo lo aiutiamo a imparare a parlare.

In psicologia tutto questo prende il nome di baby talk, la lingua attraverso cui un adulto comunica con un bambino che ancora non è in grado di parlare, ed è fatta di parole e di silenzi, di pause e di espressioni facciali super accentuate.

All’inizio, nei neonati fino ai 5-7 mesi, il baby talk serve all’adulto per instaurare con il piccolo un rapporto diretto. Successivamente, quando il bambino inizia a pronunciare le prime sillabe, arriva la frase della lallazione e il baby talk diventa sempre più utile per far sì che il bambino impari a parlare, a rispondere, a lasciare spazio, a fare pause tra una sua frase e un’altra detta dal suo interlocutore. Il bambino, attraverso l’adulto, inizia a imparare le regole del parlato comune e l’uso dell’intonazione della voce.

In Giappone, presso un reparto ospedaliero di neonatologia, i medici hanno sottoposto un campione di coppie mamma-figlio a un piccolo esperimento. Alle mamme è stato chiesto di registrarsi mentre leggevano la famosa favola di Cappuccetto Rosso in due diverse situazioni: una prima come se la stessero leggendo a un adulto e una seconda come se fosse indirizzata a un bambino. Poi, in un secondo momento, mentre i bambini dormivano, le registrazioni sono state fatte ascoltare ai piccoli e si è constatato un aumento del flusso celebrale durante l’ascolto della seconda registrazione.

Ecco dimostrata l’importanza del baby talk.

Tra le caratteristiche di questo particolare linguaggio c’è prima di tutto la semplicità: le parole che vengono usate sono facili da capire e da utilizzare per un bambino che sta per iniziare a parlare. Ad esempio, non si dice “il quale” ma si dice “che”, non si dice “attraverso” si dice “con”, e così via…

In secondo luogo, la pronuncia delle parole è chiara e più lenta rispetto al parlato comune, proprio per far sì che il piccolo comprenda; vengono usate spesso espressioni tipiche del linguaggio dei bambini, come ad esempio “nanna” invece del verbo “dormire” oppure “bua” che sostituisce il “dolore”.

Infine, il baby talk è fortemente riempito di domande e di risposte ed è proprio grazie a queste che il piccolo impara a intrattenere discorsi, a non interrompere, a lasciare pause.

Questo è, se vi fermate un attimo a pensare, lo stesso linguaggio che viene usato nei programmi televisivi per i più piccoli, come ad esempio la Melevisione, L’Albero azzurro o cartoni animati come Dora l’esploratrice.

Del baby talk non esiste un dizionario scritto, però ne esiste uno pattuito, regolato, che nasce ogni volta che nasce un bambino. È un linguaggio che non si impara a scuola, arriva per istinto, prima ai genitori e poi anche a tutti gli altri: è naturale, come un sorriso.

Non credo ci sia un modo per spiegarlo, è così e basta: tu vedi un bambino e sai già che devi parlargli, che non ti capirà se gli parli come se fosse grande e allora ecco che il baby talk esce fuori all’improvviso, come se ci fosse ancora un bambino dentro di te che già sa cosa dire.

Che questo sia un modo con cui qualcosa dentro di noi ci conferma che “tutti i grandi sono stati bambini, ma pochi di essi se ne ricordano” come diceva Il Piccolo Principe?

Martina Casentini

Martina Casentini

Mi chiamo Martina Casentini, sono nata e vivo a Velletri (Roma), studio giornalismo e dal 1995 percorro la mia strada con una penna in mano. Ho messo la testa a posto, ma non ricordo dove. Mi piacciono i gatti, la cioccolata, il mare, le storie che hanno un lieto fine e tutte quelle cose che mi fanno venir voglia di scrivere.
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