Primo PianoSociale

Quando le parole sono pugni

L’incitamento all’odio oggi non è più solo face-to-face, si è trasferito anche sul web.

«Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile. Sempre.»

Ian Maclaren, Beside the Bonnie Briar Bush.

L’hate speech, la cui traduzione corrisponde in italiano a quello che in molti conosciamo come “incitamento all’odio”, è un fenomeno che si manifesta nel momento in cui un soggetto fisico o giuridico descrive negativamente persone o gruppi, tanto da causare comportamenti negativi o intolleranze nei loro confronti.

Anni fa, ci si è trovati di fronte ad un bivio che da un lato andava verso la libertà d’espressione e dall’altro verso il superamento di determinati limiti causato proprio da questa libertà. Era proprio con l’eccesso di libertà di parola che molte persone andavano a ledere sentimenti altrui causando, in questo modo, l’hate speech. Così nel 1993 è stata approvata in Italia una legge che, nonostante la libertà d’espressione, punisce chi causa questo fenomeno.

È nata così la norma n° 205 – nota anche come legge Mancino, per il ministro Nicola Mancino che la portò avanti – che sanziona e punisce gesti e azioni legate alla discriminazione e all’incitazione alla violenza di qualsiasi tipo (sessuale, razziale, religiosa, ecc.). Ad oggi questa è l’unico strumento che punisce i crimini d’odio ed è al pari di una legge che tratta invece di crimini fisici. Essa sanziona chi istiga a commettere atti discriminatori e vieta, inoltre, la formazione di gruppi che hanno proprio questo scopo.

Oggi, con lo sviluppo del web e dei social network, questo fenomeno è diventato virtuale, con una rilevazione di circa 7000 casi al giorno.

Internet ormai è un lusso che quasi tutti si possono permettere e così anche la maggior parte di ciò che ne deriva. Bisogna diffidare da chi, apocalittico al massimo, consiglia solo di privarsene. Però bisogna anche tenere bene in conto di chi, contrariamente, sottolinea la necessità di imparare ad usarlo bene: come dovremmo imparare a rispettare gli altri nella vita di tutti i giorni, così dovremmo imparare a farlo anche virtualmente.

Quante volte leggiamo su pagine Facebook post contro gruppi? O quante ancora troviamo nei commenti persone che accusano o insultano altre persone? Dietro ad uno schermo si ha sempre l’illusione di interagire con un altro schermo, ma ci si sbaglia: si è persone che, nascoste o meno, sono e rimangono comunque delle persone, individui o gruppi con dei sentimenti e con delle paure, e proprio in quanto tali meritano, oggi come ieri e anche domani, di essere rispettate.

Bisognerebbe ricordare che le parole fanno male, hanno fatto male da sempre e continueranno a farne ancora in futuro. Finché non saremmo in grado di usarle bene.

E bisognerebbe ricordare anche che, con lo sviluppo delle tecnologie, oggi disponiamo di una possibilità di diffusione di queste parole che non è paragonabile, se guardiamo indietro, a nessun altro tempo e che proprio per questo motivo dovremmo usarla al meglio possibile.

Parlate.

Parlate bene.

Parlate pensando alle conseguenze delle vostre parole su chi ascolta.

Martina Casentini
Leggi anche: Alessandro Cattelan prova a rispondere a Una semplice domanda, che non è affatto semplice

Martina Casentini

Mi chiamo Martina Casentini, sono nata e vivo a Velletri (Roma), studio giornalismo e dal 1995 percorro la mia strada con una penna in mano. Ho messo la testa a posto, ma non ricordo dove. Mi piacciono i gatti, la cioccolata, il mare, le storie che hanno un lieto fine e tutte quelle cose che mi fanno venir voglia di scrivere.
Back to top button