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Miriam Makeba aka Mama Afrika: cantare per cambiare il mondo

Da molto piccola, avrò avuto sei o sette anni, ballavo come una forsennata nel salotto della mia vecchia casa con il sottofondo di una canzone dal ritmo travolgente, inarrestabile. Il mio corpo di bambina, esile e scoordinato, su quelle note diventava armonioso, riempito, in perfetta sintonia con se stesso ed il mondo.

Ero quasi adulta, donna.

La canzone di cui parlo è“Pata Pata”, della cantante e musicista sudafricana Miriam Makeba.

Mama Afrika, è così che Miriam Makeba si rende riconoscibile dalla discografia mondiale e dal suo pubblico. In questo nickname racchiude uno stile, un messaggio, un’ideologia umana e musicale.

Nata a Johannesburg nel 1932, Zensile Makeba Qgwashu Nguvama Yiketheli Nxgowa Bantana Balomzi Xa Ufnu Ubajabulisa Ubaphekeli Mbiza Yotshwala Sithi Xa Saku Qgiba Ukutja Sithathe Izitsha Sizi Khabe Singama Lawu Singama Qgwashu Singama Nqamla Nqgithi, ha poi ridotto in Miriam Makeba il suo lunghissimo e ‘africanissimo’ nome. Tuttavia, dalla sua Africa e dalle sue radici, l’artista non si è mai distaccata, in cerca di un plauso universale e filo-occidentale.

L’amore ed il legame con la terra natia sono ciò che ha reso questa donna diversa, iconica. Il coraggio di cantare un continente lontano e sconosciuto, tanto culturalmente quanto musicalmente, ha fatto sì che lo spirito delicato ed etereo della Makeba attraversasse tempo e spazio per rendere giustizia al suo talento e alla sua arte.

«Io sento che prima di essere artisti, siamo esseri umani. Viviamo nello stesso mondo in cui vivono tutti gli altri. Dobbiamo ricordarcene in modo che noi artisti non dimentichiamo ciò che accade attorno a noi. Venendo dal Sud Africa, la mia vita è stata naturalmente influenzata dal mio ambiente di crescita e le canzoni che canto hanno a che fare con la mia vita quotidiana, con ciò che ha influenzato la mia vita. Il messaggio che cerco di veicolare al mio pubblico non è solo uno, cerco di far loro capire me stessa, come essere umano, e anche capire il mio paese e la mia gente.»

L’incredibile estratto sopraccitato viene da un’intervista alla Makeba del 1969, in cui le viene posta l’inflazionata domanda «Che messaggio vuoi comunicare, con la tua musica?». Il filmato dell’intervista – lo si trova con estrema facilità su Youtube – è altrettanto incredibile, la dolce voce dell’arista e le sue movenze morbide, quiete, mostrano la vulnerabile sensibilità di una creatura amante ed emotiva, ricettiva e custode del dolore e della gioia di un popolo. Miriam Makeba sorride, parlando dell’abitudine della sua gente di ballare e cantare, di fare musica per celebrare la vita “…invece di piangere”.

Al contempo, basta prestare un po’ di attenzione in più alle parole pronunciate dalla Makeba durante l’intervista per scoprirne il lato ribelle, guerriero. Delicata, ma forte.

«La lotta degli africani in Sud Africa ed in America, Europa e Sud America è la stessa lotta. Siamo tutti soldati che servono una stessa causa. Siamo tutti africani ed il nostro popolo subisce le stesse ingiustizie, ha le stesse ferite.»

Un cuore pieno, dunque, vibrante di energie e sinergie. Il cuore di una musicista la cui arte non si esaurisce nel mero tentativo di raccontare un individualismo scevro da qualsiasi intento corale e universale. Il canto travolgente, il ritmo inarrestabile, il corpo dell’ascoltatore che viene letteralmente “posseduto” da una forza insieme estranea ed intrinseca, sono tutti sintomi e manifestazioni di una passione dolorosa per l’esistenza e la sopravvivenza. Ballando sulle note di “Pata Pata”, stiamo celebrando con Mama Afrika la volontà di un popolo, la sua storia, la sua resilienza, le sue tradizioni. Non è un canto di pace, di acquiescenza, ma una rivendicazione. La musica che ci pervade il sangue, legandoci alla terra, alle radici e alle piante, ci riconnette con le nostre origini ancestrali, innegabili. “Proveniamo tutti da lì”, sembra dirci Miriam Makeba, “vi farò emozionare e ballare, finché non vi ricordate che veniamo tutti da lì e l’Africa è la culla del mondo, la Madre della vita.”

Per le sue idee radicali e la sua determinazione incoercibile, Miriam Makeba è stata esiliata dal suo paese per trent’anni. In questi trent’anni, il suo talento ed il suo carisma sono stati conosciuti e riconosciuti ovunque. Leggendaria è la collaborazione con Harry Belafonte, incontrato a Londra dopo il trasferimento definitivo in Europa. Da qui, il pluripremiato album An Evening with Belafonte/Makeba, primo vero successo internazionale della cantante. La Makeba vinse un Grammy e la fama, la possibilità di diffondere la sua missione su territorio globale e di arrivare a coloro che erano lontani, incomunicabili. Da lì, tra tournée, film e presenza all’ONU, le posizioni anti-apertheid e anti-razziste di Mama Afrika divennero benzina su un fuoco già divampante, un fuoco che avrebbe raso al suolo il marcio per ricreare un mondo migliore, su un territorio fertilizzato dalla coesistenza e dell’accettazione, dal giusto e dal vero. La morte di Mama Afrika è avvenuta in perfetta coerenza con la sua vita: ebbe un infarto nel 2008, a Castel Volturno, dopo un’esibizione contro la camorra, dedicata allo scrittore Roberto Saviano.

La cantante sentiva dolori al petto da prima di esibirsi, ma aveva deciso di andare ugualmente sul palco, dando così la concreta dimostrazione di ciò che era, è e sempre sarà. La ribellione contro le ingiustizie, la lotta per il bene, l’amore per l’arte, ultraterreno, illimitato.

Sveva Di Palma

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La Redazione

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